QUEGLI EROI DEI SILENZI E MONOSILLABI NEGLI ANNI 70
Erano i campioni dei monosillabi ma soprattutto erano le Olimpiadi televisive in bianco e nero. Quelle con la O maiuscola in cui erano ancora ben delineati i confini con i Giochi senza frontiera. Lo sport degli Anni Settanta, di cui Klaus Dibiasi è stato uno degli eroi più decantati e blasonati, era come la musica del giradischi: restavi lì incantato a guardare o ad ascoltare creandoti un mondo immaginario e mitico su quello che ti entrava nella testa. Klaus, con quel nome che dichiarava così bene le sue origini, è stato il primo olimpionico estivo altoatesino: il terzo oro a Montreal ’76 lo vinse dopo aver assolto il ruolo di portabandiera che esaltò il suo orgoglio italiano. Tanto più che il suo fu uno dei soli due titoli vinti (insieme allo schermidore Dal Zotto) dall’Italia in Canada.
Per lui e Gustav Thoeni la lingua era un problema formale ma non di cuore: a scuola e in famiglia si esprimevano in tedesco ma l’anima parlava italiano. Nacque così lo sport del silenzio che entrò nelle case degli italiani attraverso le rare interviste e telecronache dell’epoca. Ma il silenzio, come sottolinea ancora oggi Dibiasi a 70 anni, per loro era sostanza e concentrazione. In fondo quei silenzi ci fecero «arrivare» Dibiasi e Thoeni in modo un po’ distorto, mostrandoli in una seriosità totalizzante rispetto alla loro profonda umanità. Ma era giusto così perché li uniformavano agli eroi di Olimpia. Statuario come gli dei greci, Klaus urlava con carpiati e avvitamenti ma a trampolini spenti, dopo l’agonismo, ha saputo tirar fuori tutta la sua personalità.