I laureati italiani sono davvero così somari e male utilizzati?
Impietosa fotografia dell’Ocse: finiscono gli studi solo il 20% dei giovani e sono anche impreparati... Colpa delle tante imprese a gestione familiare (oltre l’85%) e della poca meritocrazia. E al Sud le cose vanno peggio, il divario col Nord aumenta
Oggi vorrei parlarle di un documento di 280 pagine intitolato “Strategia per le competenze per l’Italia”, messo insieme dopo due anni di lavoro dall’Ocse, ovvero dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.
1 Mi faccia capire, lei si è letto 280 pagine di un testo con un titolo così noioso?
Ma no, questa ricerca è stata presentata ieri a Roma, al ministero del Tesoro, alla presenza del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. E dice delle cose che dovrebbero interessarla e anche preoccuparla. In sostanza in questo documento c’è scritto che solo il 20% degli italiani tra i 25 e i 34 anni è laureato, mentre la media dei 29 Paesi monitorati che fanno parte dell’Ocse (sui 35 complessivi) è del 30%. Ma non si tratta soltanto di avere meno laureati, perché chi ha un titolo di studio universitario in Italia ha «in media, un più basso tasso di competenze in lettura e matematica». Per l’esattezza, in questo siamo ventiseiesimi su ventinove.
2 Non mi sembra una grande novità. Sono anni che sento citare studi e classifiche da cui i nostri ragazzi escono pressappoco come dei somari.
Questo rapporto dice in realtà che gli studenti italiani non sono solo meno preparati, ma anche male impiegati. Un paradosso per cui ci sono lavoratori che hanno competenze superiori ma hanno mansioni che ne richiedono meno (11,7%) e sono sovra-qualificati (18%), con una percentuale elevatissima (35%) di lavoratori occupati in un settore non correlato ai propri studi. In inglese il fenomeno è detto «skills mismatch», in italiano si potrebbe tradurre con «dialogo tra sordi», dove i due interlocutori sono il lavoratore e il posto di lavoro. Anche per questo la produttività, «che per un ventennio ha avuto in Italia un andamento stagnante, permane a livelli non soddisfacenti» ci dice l’Ocse, che sottolinea poi come l’Italia sia relegata agli ultimi posti su scala europea per investimenti sui giovani, in tutte le declinazioni del termine: per esempio in formazione spendiamo appena il 4% del Pil, peggio della Grecia e le risorse destinate all’università sono in calo dal 2008. Pessima anche la condizione femminile: le donne scelgono spesso specializzazioni universitarie che «non sono molto richieste dal mercato del lavoro e che rendono loro difficile trovare un’occupazione dopo la laurea». Di più: le donne sono spesso percepite «come le principali assistenti familiari». Ci sarebbero poi una miriade di altri dati che le potrei citare, ma evito di annoiarla. C’è una cosa però che mi ha colpito: a un certo punto l’Ocse scrive tra le righe che uno dei grandi ostacoli nel campo del lavoro in Italia è la famiglia.
3 E ora che cosa c’entra la famiglia?
Le imprese a gestione familiare da noi sono più dell’85% del totale e rappresentano il 70 per cento dell’occupazione del Paese. E questo crea un circolo vizioso: anche «i manager delle imprese a gestione familiare spesso non hanno le competenze necessarie per adottare e gestire tecnologie nuove e complesse», nota freddamente l’Ocse.
4 Capisco, pochi investimenti, scarso valore al merito… Ma non riuscirà a convincermi che i ragazzi italiani studiano poco e male.
Non si abbandoni a generalizzazioni. Il livello di istruzione e di preparazione varia molto da Nord a Sud. Tra gli studenti della Provincia di Bolzano e quelli della Campania esiste un divario che equivale a più di un anno scolastico. I ragazzi campani sono allo stesso livello di quelli cileni o bulgari. Lo dicono i risultati del test Pisa, un sistema internazionale per accertare le competenze dei quindicenni scolarizzati.
5 Eppure io mi ricordo che alla maturità i voti migliori li prendono sempre gli studenti del Sud.
È vero. Agli ultimi esami, la scorsa estate, tra i 100 e lode ottenuti dai 5.494 maturandi italiani, il primato è stato degli studenti pugliesi, con 944 che hanno ottenuto il voto più alto, seguiti dai campani (802) e dai siciliani (516). Per fare un esempio, in Piemonte le lodi sono state solo 196. Il che evidentemente non vuol dire che i ragazzi di Torino sono meno preparati di quelli di Bari, anzi, ma che forse i professori in certe regioni sono più buoni al momento di dare un voto. Ma il fatto che dovrebbe scandalizzarci davvero è che nelle scuole italiane non si boccia più. All’ultimo esame di terza media il 99,8% dei ragazzi è stato promosso e il 99,5 dei maturandi è stato considerato idoneo, andando magari a ingrossare le fila degli studenti universitari che faranno poi fatica a trovare un lavoro. Senta cosa ha detto Giacomo Pignataro, rettore dell’Università di Catania: «Nelle scuole del Sud si tiene conto del contesto. Spesso, per evitare una dispersione scolastica ancora più massiccia, nelle aule si abbassano gli standard di valutazione e, a ricasco, chi va semplicemente bene ottiene valutazioni superlative. I problemi, tra l’altro, si ripercuotono sulle nostre università: le matricole che arrivano da noi sono spesso impreparate. Hanno deficit seri, soprattutto in italiano e in matematica».
Solo ventiseiesimi su 29 Paesi: «Basse le competenze in lettura e matematica»