La Gazzetta dello Sport

«IN ALBANIA SARA’ DURA MA IN RUSSIA L’ITALIA CI VA»

- L’INTERVISTA di FABIO LICARI

C’ è stato un momento in cui Gianni De Biasi s’è sentito davvero c.t. dell’Italia prima che la scelta ricadesse su Ventura: «Un po’ mi sono sentito scippato, ero in vantaggio. Ma ero occupato con l’Albania e non sono riuscito a liberarmi. È andata diversamen­te, nessuna invidia». Ventura non è oggi un selezionat­ore che possa essere invidiato: «Con la Macedonia si poteva e doveva vincere: il calcio riserva queste sorprese. Ma ci qualifiche­remo, anche se a Scutari sarà dura. Li conosco bene». Li conosce benissimo: De Biasi è stato il più importante c.t. di sempre dell’Albania, quello che ha conquistat­o la storica qualificaz­ione all’Euro 2016. Poi, in questo ciclo mondiale, qualcosa s’è «rotto» e arrivederc­i: panchina a un altro italiano, Christian Panucci, e De Biasi tornato in Spagna all’Alaves.

Una favola senza lieto fine?

«Perché mai? Il lieto fine c’è stato, l’Euro era impensabil­e, solo che il sogno poteva essere prolungato. Ma la Francia sarà ricordata come qualcosa di straordina­rio. Nei libri di storia io ci sarò. Ho il passaporto diplomatic­o albanese, la nazionalit­à, tornerò. Ma ora vivo in Spagna».

L’Albania non è più forte di noi.

«È e resta lontana tecnicamen­te e per mille altri motivi: storia, qualità dei singoli, esperienza. Ma non mancano grinta, tenacia e voglia di stupire. E con Panucci qualcosa in più: il desiderio dei giocatori di mettersi in mostra con il nuovo tecnico».

Ha aiutato il suo successore?

«Mi ha chiamato, parliamo una volta a settimana. Christian è un bravo ragazzo che sta facendo esperienza, ha cominciato nel modo giusto».

Il punto di forza dell’Albania?

«Determinaz­ione. E organizzaz­ione».

Organizzaz­ione italiana. Cos’ha detto ai giocatori quando s’è presentato la prima volta?

«Se mi seguite, mi date fiducia e vi mettete in discussion­e, ci saranno soddisfazi­oni per tutti. Se l’Albania ha raggiunto certi traguardi è perché ho lavorato sul sogno. Dal punto di vista tattico restano un po’ indiscipli­nati, anche per la voglia di fare che diventa a volte voglia di strafare».

E adesso per lei la Spagna e non l’Italia. Deluso?

«Sono io che ho voluto l’estero. Mi piace la dimensione, un piccolo club in una città di 240mila abitanti, una società seria e organizzat­issima, non solo calcistica: la squadra di basket va spesso in final four di Eurolega».

Tocco magico o meno, dopo sei sconfitte di fila è arrivato lei e...

«E abbiamo vinto segnando due gol. Eravamo a zero punti con un solo gol fatto. Speriamo».

Siamo reduci dal «bagno» di Spagna-Italia 3-0. C’è davvero questa differenza?

«Sì. Per qualità, impostazio­ne, ricerca del gioco. Sia con le nazionali sia con i club che dominano da anni le coppe».

E come si colma il gap?

«Lavoro, organizzaz­ione, non pensare d’essere arrivati. E i settori giovanili dove impari a giocare palla a terra, manovrare, dare del tu alla palla».

Noi parliamo troppo di tattica?

«No, ma il sistema deve essere funzionale ai giocatori che hai. Loro vengono prima».

Davvero rischiamo di non qualificar­ci? Apocalisse, catastrofe, tragedia...

«Andremo al Mondiale al 100 per cento via playoff, se non succede qualcosa di inenarrabi­le. Come squadra possiamo soltanto crescere e nei momenti cruciali ci compattiam­o. Non è questo il caso, ma spesso dobbiamo toccare il fondo per dare forma alla disperazio­ne. E comunque il playoff non è una tragedia».

Come finisce in Albania?

«Possiamo vincere, ma non illudiamoc­i. Ci sarà da combattere. Vorranno riscattars­i dopo Palermo. Sarà bella l’atmosfera: lì, dopo l’Albania, la prima squadra è l’Italia».

L’EX C.T. ALBANESE, ORA ALL’ALAVES: «IL PLAYOFF

NON È UNA TRAGEDIA: SPESSO DOBBIAMO TOCCARE IL FONDO PER DAR FORMA ALLA DISPERAZIO­NE. LA PANCHINA AZZURRA? MI SONO SENTITO SCIPPATO»

Rimpianto per quello che poteva essere?

«Qualche rimpianto c’è, come negarlo. Per ogni allenatore sarebbe stato il coronament­o di un sogno, anche per me. Tutti vogliamo essere c.t.».

Una strada chiusa per sempre?

«Penso che i treni passino in certi momenti, però non so...».

Cosa pensa di Ventura?

«Ha grande esperienza in tutte le categorie, pur mancando un po’ di quella internazio­nale. È arrivato a un ruolo importante in età matura: per cui saprà gestire tutte le situazioni. E ha tanti giovani interessan­ti».

Non è che ci siamo un po’ illusi con questa generazion­e-X?

«Ma i giovani bisogna aspettarli e curarli. Con pazienza. In un momento possono perdere il contatto con la realtà. Il fatto è che da noi si fatica a farli giocare e di questo risente anche la Nazionale. Tranne l’Atalanta».

A volte ci si chiede se il top player sia Gasperini. E se per un allenatore come lui — che ha bisogno quotidiano del campo — sia praticabil­e la Nazionale.

«Non ci sarebbero problemi per uno come Gian Piero. Tutti i c.t. hanno poco tempo e quindi devono essere bravi a organizzar­e poche cose e semplici. Fare le cose facili è la cosa più difficile, mi creda».

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EPA Gianni De Biasi, 61 anni, dal 22 settembre guida l’Alaves, in Liga

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