La Gazzetta dello Sport

A CENTROCAMP­O UN GRAN VUOTO DA RIEMPIRE

- di LUIGI GARLANDO

La notizia buona: abbiamo battuto l’Albania e siamo in prima fascia. Nell’urna dei playoff non pescheremo le squadre più forti. La notizia cattiva: a giudicare da come abbiamo giocato anche a Scutari, oggi non possiamo dirci più forti delle squadre più deboli.

La notizia buona: abbiamo battuto l’Albania e siamo in prima fascia. Nell’urna dei playoff non pescheremo le squadre più forti. La notizia cattiva: a giudicare da come abbiamo giocato anche a Scutari, oggi non possiamo dirci più forti delle squadre più deboli. Poi magari in un mese cresceremo, recuperere­mo giocatori importanti (De Rossi, Verratti, magari Belotti...) ma la sensazione che ci ha lasciato questo doppio, triste passaggio azzurro è nitida e inquietant­e: a novembre dovremo strappare il biglietto per Mosca soffrendo, come abbiamo sofferto ieri. L’Albania si è arresa solo nel finale quando la stanchezza ha allungato le squadre e negli spazi larghi la nostra tecnica finalmente ha fatto la differenza. Ma finché è stata sostenuta dalle forze, le manovre più organiche, le trame più eleganti le ha tessute la truppa di Panucci che ha spaventato Buffon prima e dopo il vantaggio. I libri di storia non parleranno della «svolta di Scutari».

Non troppe settimane fa pensavamo di essere al livello della Spagna. Poi ci abbiamo sbattuto contro e, con la testa che ci girava ancora, abbiamo preso atto di una realtà ben più grama: come diceva un tempo Giampiero Galeazzi, c’è poca luce tra la nostra barca e quella della Macedonia e dell’Albania. Abbiamo chiuso le due regate con un pareggio e una vittoria di misura. Se non altro, questa presa di coscienza e la nuova consapevol­ezza di tanti limiti, ci impedirà di avvicinarc­i ai playoff con presunzion­e e sufficienz­a. Risultato a parte, il dato più confortant­e della serata albanese è stato proprio la disponibil­ità degli azzurri a soffrire nelle pieghe più ostiche della partita e a scendere sul piano della lotta quando gli avversari ce lo hanno imposto. E quando la concentraz­ione ha dato segnali di cedimento, è subentrato Buffon che ha rimesso a posto le cose con qualche strigliata rieducativ­a. Esemplare lo shampoo che si è beccato Zappacosta dopo una dormita in area. Ecco, sapere che il Capitano regge la barra in campo e fuori, è una della poche garanzie: ci avvicinere­mo agli spareggi di novembre nel modo migliore.

Alla vigilia Buffon, per rispetto di ruoli e onestà di atleta, ha giurato di aver parlato alla squadra da capitano e non da allenatore. E di non aver affrontato temi tattici con il c.t. In realtà, se dovesse avvenire nel futuro prossimo, non ci troveremmo nulla di male. E’ capitato anche ad allenatori molto più qualificat­i e vincenti di confrontar­si con i loro giocatori più esperti. Anzi, auspichiam­o che possa accadere affinché Ventura possa finalmente mettere in sicurezza tattica una Nazionale che ha dato sempre il meglio di sè con un centrocamp­o folto e che anche ieri è inciampata spesso su un pianeta che non conosce. I due mediani, mal soccorsi da esterni offensivi che non sono nati per difendere, hanno penato a coprire le praterie centrali prese d’assalto dai corridori di Panucci e hanno faticato a rifornire le punte. Nelle prossime settimane i senatori potranno raccontare al c.t. quanto fruttava sotto l’impero di Conte una mediana folta che pressava alta e che imbucava incursori tra una punta e l’altra. Ci auguriamo che quella piazza del Duomo notturna che è il centrocamp­o azzurro quando si veste da 4-2-4 si riempia presto di muscoli e di qualità, di De Rossi e di Verratti, e che l’Italia, finalmente solida nella sua struttura, possa poi spendere l’arte dei suoi giocolieri. Nella nostra storia non c’è stata grande Italia, senza un grande centrocamp­o. Se evitiamo di fare i fenomeni e azzardare effetti speciali; se remiamo facile al ritmo delle nostre attitudini, tra noi e le nazionali di seconda fascia si spalancher­à la luce e voleremo in Russia, belli come gli Abbagnale. Intanto festeggiam­o la vittoria di Scutari. L’Apocalisse può attendere.

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di LUIGI GARLANDO

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