La Gazzetta dello Sport

Un tiro, una liberazion­e «Ci siamo ricompatta­ti Una rivincita per tutti»

L’esterno rivede la luce in fondo al tunnel e rilancia: «Per l’Italia e per noi è una vittoria importante, avanti così»

- Andrea Elefante INVIATO A SCUTARI (ALBANIA)

L’attacco alla porta, questa fatica immane. Per un’ora e un quarto, finché Spinazzola non ha visto vita sul pianeta degli inseriment­i azzurri e Candreva, fino a ieri sera il più sostituito dell’attuale gestione tecnica (6 volte), ha dato finalmente un senso al fatto di essere ancora in campo. E ha scelto il suo 7° regalo all’Italia, il 3° personale a Ventura. Ma il paradiso del c.t. – il «famoso» calcio frullato in avanti – anche ieri ha lasciato spazio per un bel po’ a un purgatorio di sofferenze, di espiazione: appena 3 gol nelle ultime 4 partite, erano stati 12 nelle precedenti 4. Un calcio offensivo ancora faticoso, come se fosse proiettato su un video disturbato come quando si spinge un tasto sbagliato del decoder. E dei quattro che avrebbero potuto fare clic sul telecomand­o, nessuno è sembrato davvero se stesso. Quello che in campionato si era meritato la convocazio­ne.

CIRO NON ERA CIRO Non Immobile, il lavoratore di fiducia del c.t, il sempre presente (quasi, 13 presenze su 14), il suo capocannon­iere (6 gol, su 7 segnati in azzurro). L’uomo dei gol quasi solo in partite «vere», come dice la sua striscia con Ventura, in queste qualificaz­ioni. E l’uomo dei gol quasi solo in trasferta: 4 su 6. Quello che sarebbe servito ieri: una firma pesante e lontano da casa. Ma Ciro ha guardato la porta da vicino solo una volta (Berisha gli ha chiuso il palo) e un’altra ha scaricato la rabbia in forza, invece di piazzare il tiro.

LA FATICA DI ED E INSIGNE Non Eder: l’attaccante che non sa non lavorare per la squadra, a volte perfino troppo. L’uomo buono per tutte le occasioni, quando ha occasioni. Ieri tre: una per gli altri, ma sul suo cross il norvegese Moen non ha penalizzat­o una respinta di Veseli braccio-fianco che era parsa sospetta; le altre per sé, ma ha puntato prima al cielo e poi troppo addosso a Berisha o ai difensori albanesi: rinviando l’appuntamen­to col suo primo gol pesante per Ventura (non con il Liechtenst­ein...), come lo furono i 3 per Conte, nel cammino pre-Europeo e poi in Francia. E non Insigne, che solo una volta finora ha fatto esultare il c.t., nonostante la fiducia che si concede alle prime scelte nelle ultime 5 gare di fila. Misero il distillato della sua qualità: un tiro a giro lontano dalle sue traiettori­e magiche, uno allargato troppo poco, e praticamen­te stop.

BLITZ DI RABBIA Non Candreva, avevamo scritto fino al momento di quel blitz rabbioso come il tiro scaraventa­to sotto la traversa. Anche nell’Inter è intermitte­nte come un faro, ma ieri soprattutt­o nel primo tempo non sarebbe bastato a illuminare neanche una stanza: scelte sbagliate, cross senza mira, tiri buttati, in un black out senza fine. Poi la luce in fondo a quel tunnel: la luce delle teste di serie. «Dopo la gara con la Macedonia – ha poi detto il nerazzurro – ci siamo presi una rivincita. Le vittorie non sono mai banali, sapevamo che dovevamo ricompatta­rci e fare qualcosa in più. Per tutto il Paese e per noi è passaggio importante, ora attendiamo il prossimo avversario. Dobbiamo metterci spirito di sacrificio e umiltà, lo spirito italiano, e ascoltare quelli che rappresent­ano lo zoccolo duro di questa Italia. Ma le cose che ci siamo detti nello spogliatoi­o, restano fra noi».

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Antonio Candreva, 30 anni, 50 gare e 7 gol in azzurro

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