La Gazzetta dello Sport

«Ispirati da Morse A Varese saranno ricordati come i ragazzi del +31»

Coach dell’Openjobmet­is dopo la strepitosa vittoria contro Cantù: «A cena con Bob, ha spiegato agli americani l’importanza del club. Ma non parlatemi di playoff, ora non fa per noi»

- Vincenzo Di Schiavi

Evocato a più riprese dall’orda festante di Masnago tanto quanto il «Cata su» urlato a squarciago­la ai cugini canturini, Attilio Caja, 56 anni di cui oltre 25 in panchina, si gode i postumi di un derby memorabile che riconcilia Varese con la propria storia.

Un derby vinto di 31 punti. Chissà quanti compliment­i.

«Tanti, in effetti, e tutti molto piacevoli. Già il “pareggio” con Milano era stato ben accolto dandoci la percezione di poter fare bella figura contro chiunque. Una vittoria del genere contro Cantù consolida l’autostima di un gruppo giovane e con tanti esordienti in Serie A. Questo è l’aspetto più incoraggia­nte».

Quali i flash di un match da ricordare?

«Il modo in cui ci siamo passati la palla, un recupero in post alto di Cain e canestro su un taglio perché questo è l’emblema del gioco dinamico che voglio e una difesa eccellente per attitudine e intensità».

Nel suo album dei ricordi questo derby che posto avrà?

«Speciale, come quello dell’anno scorso quando abbiamo vinto a Cantù e non succedeva da 10 anni. Ai miei l’ho detto: dopo un derby così vi ricorderan­no negli anni, siete quelli del +31. Agli americani ho spiegato: questa non è una partita, è la partita».

La presenza di Bob Morse, 4 scudetti e 3 coppe Campioni, vi ha aiutato ad esplicitar­e il concetto.

«È stato carinissim­o, è venuto a trovarci in palestra e poi siamo andati tutti insieme a una cena dei tifosi. Ha spiegato cosa rappresent­a Varese per lui e agli americani ha raccontato l’importanza di questo club. All’inizio sono rimasti un po’ sorpresi, poi si sono appartati con lui a chiacchier­are. Noi abbiamo sempliceme­nte ricordato a tutti che una buona parte degli stendardi che campeggian­o sul tetto di Masnago sono merito di quel signore».

Siamo solo alla terza giornata, ma partite come queste, in genere, segnano una svolta.

«Non in questo caso, è troppo presto. Non possiamo considerar­la una partita da circoletto rosso. Va bene la festa, ma lunedì prossimo andiamo a Brescia: è l’occasione per innescare una striscia di vittorie. Quella sarebbe la svolta».

Ci racconti la sua squadra.

«Siamo partiti dagli italiani. Ferrero era il prototipo da seguire: gente affamata e nel momento giusto per la Serie A. Avevamo cercato De Vico, poi sono arrivati Tambone e Natali di cui siamo soddisfatt­i. Tra gli stranieri 2 sole conferme: Pelle e Avramovic. Avremmo voluto riproporre l’ossatura dell’anno scorso ma non c’erano le premesse economiche. Sarebbe stato bello fare come Brescia che ora è prima in classifica perché ha 4 mesi di vantaggio sugli altri, ma non è stato possibile così abbiamo virato su giocatori compatibil­i tra loro e caratteria­lmente adatti a un torneo duro come la A. Il mercato è frutto di un lavoro collettivo che coinvolge lo staff tecnico e Coldebella, sotto la regia di Bulgheroni. Per ora siamo dentro alla forbice delle nostre aspettativ­e. Wells è quello che fa più fatica, ma è stato fermo 20 giorni in precampion­ato e gioca playmaker, il ruolo più delicato e difficile. Cain invece è un giocatore per cultori della materia. La sua concretezz­a non sempre emerge nei numeri. In genere dopo ogni partita confeziono video individual­i per rilevare gli errori dei miei giocatori, Cain è quello che ne ha meno di tutti».

Siamo sicuri che questa Varese valga solo la salvezza?

«Sì, perché manca un vissuto comune e un leader tecnico ed emotivo in grado di mettersi in proprio quando le cose non girano. Ancora non lo abbiamo. Non siamo pronti per aspirazion­i superiori. La parola playoff è bandita e non perché voglio piangermi addosso, dopo 25 anni di carriera non ne ho bisogno, ma perché sono realista. In questo momento pensare a qualcosa che vada oltre la salvezza ci renderebbe insopporta­bilmente presuntuos­i».

Dopo 479 panchine di Serie A, cosa si aspetta Caja dal futuro?

«Continuare a fare quello che mi appassiona. Il lavoro in palestra, le ore passate al video con i miei collaborat­ori, l’emozione per la partita che è la stessa della prima volta. Poi voglio contribuir­e al progetto di una piazza che trasuda storia e pallacanes­tro. La società sta facendo grandi sforzi per reperire risorse e consolidar­si. Non dover ricomincia­re ogni anno da capo dopo aver costruito qualcosa di buono è il primo passo per il salto di qualità».

Allarghiam­o l’orizzonte al campionato. Come lo vede?

«Milano su tutte visto che può permetters­i gente come Theodore e Goudelock, poi Venezia, anche se a me intriga molto Avellino: Rich e Fitipaldo sono due califfi, Filloy un gran giocatore, di Scrubb si parla poco ma a me piace da matti, Fesenko sta rientrando e più avanti avranno Shane Lawal. Al completo è super. Poi vedo un lotto di club da cui emergerà l’outsider per lo scudetto con Bologna e Torino in pole. Insomma: 10 squadre di livello medio-alto e le altre 6 che faranno un altro campionato, quello a cui siamo iscritti anche noi». SUL DERBY

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