La Gazzetta dello Sport

INGHILTERR­A-ITALIA NON È MAI SCONTATA

-

Uno pensa alla prima mezz’ora di Manchester City-Napoli e si arrende. Un altro recupera le emozioni di ChelseaRom­a, o magari la lezione dell’Atalanta all’Everton, un Everton minore ma pur sempre un pezzo di storia, e si rincuora. La Premier è la Premier, strilla la propaganda, e tutti i torti non ha. Sono i più ricchi del pianeta, con proventi televisivi che, lo scorso esercizio, hanno fruttato due miliardi e 700 milioni di euro, ben oltre il miliardo della nostra Serie A. E poi: stadi-salotto contro stadiborde­llo, moquette contro tappeti di patate, ritmo manicomio contro ritmo procession­e. Eppure sul campo, e sottolineo sul campo, il divario non è così mortifican­te come le risorse del calcio-Nasa dovrebbero imporre ai rozzi governanti del calcio-bottega. Carta canta. L’indagine coinvolge le ultime sei stagioni di coppe, dal 201112 al 2016-17, più lo spicchio dell’attuale. In totale, Premier e Serie A si sono affrontate 33 volte, dai preliminar­i alle fasi a gironi agli ottavi. Questo il bilancio: 11 vittorie inglesi, 13 vittorie italiane, 9 pareggi. Saldo dei gol: 46-41 pro Italy. Inglesi qualificat­e, 4; italiane qualificat­e, 3. Nell’ambito del periodo preso in esame, la Premier si è aggiudicat­a una Champions con il Chelsea, nel 2012, e due Europa League: la prima ancora con il Chelsea, nel 2013, e la seconda - fresca fresca - con il Manchester United. All’elenco va aggiunto il Liverpool, finalista nel 2016. E noi? Siamo fermi alle due finali di Champions che la Juventus di Massimilia­no Allegri ha raggiunto nel 2015 a Berlino, contro il Barcellona dei marziani, e il 3 giugno a Cardiff, contro il Real Madrid del marziano. Sono più forti, e non solo perché più danarosi, ma ci soffrono, o comunque patiscono le nostre malizie, quel gusto per la tattica che ci ha reso unici: non necessaria­mente i migliori o i più belli, ma regolarmen­te i più duttili e, assai di rado, i più futili. Certo, non vinciamo l’Europa League, allora Coppa Uefa, dal 1999 con il Parma, e la Champions dal 2010, l’anno del triplete interista. Sono lontani i tempi in cui il Milan di Carlo Ancelotti si mangiava il Manchester United e, sfidato dal Liverpool di Rafa Benitez, passava dal suicidio di Istanbul alla riscossa di Atene. Nei faccia a faccia l’esito non è mai scontato: e il fatturato, spesso, si accomoda in ufficio, non alla cassa. Nella Champions 2012 successe di tutto. Dopo aver regolato e contribuit­o a eliminare il Manchester City di Roberto Mancini (e Mario Balotelli), il Napoli di Walter Mazzarri andò a un pelo dal far fuori, negli ottavi, il Chelsea che avrebbe poi conquistat­o il trofeo. Al San Paolo i Blues persero 3-1 e il risultato costò la panchina ad André Villas-Boas, un professori­no portoghese che aveva fatto parte della Camelot di José Mourinho. Gli subentrò Roberto Di Matteo, tecnico di scuola italianist­a, e la cronaca s’impennò fino ai supplement­ari di Stamford Bridge e ai rigori della lotteria di Monaco di Baviera, dalla quale uscì il biglietto di Didier Drogba (e non del Bayern, favorito manifesto). E dal momento che con il calcio non si scherza, neppure quando sembra che sia «lui» a trastullar­si, Di Matteo venne sollevato dall’incarico nel giro di pochi mesi, da maggio a novembre. Pagò il rotondo 0-3 allo Stadium contro la Juventus di Antonio Conte, che oggi allena proprio il Chelsea. A frugare in archivio emergono scarti obesi come Milan-Arsenal 4-0 e 0-3, Tottenham-Inter 3-0 e 1-4 dts. E, addirittur­a, un 3-2 dell’Udinese ad Anfield. Maestri, sì, ma senza esagerare.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy