La Gazzetta dello Sport

«LA F.1 SHOW PER I TIFOSI NON LOTTA TRA COLOSSI»

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Le riunioni per ridisegnar­e il futuro della F.1 sono appena cominciate, ma Sergio Marchionne nel suo blitz al GP degli Usa ha già annunciato venti di guerra. Non c’è solo in ballo la spartizion­e dei diritti economici, con la Ferrari che vorrebbe mantenere i privilegi derivanti dal fatto di essere l’unico team presente in tutta la storia del Mondiale. Il vero conf litto è sui regolament­i per i motori alla scadenza del Patto della Concordia nel 2020. «Litigherem­o finché non si troverà un equilibrio — ha dichiarato Marchionne dopo avere incontrato i vertici di Liberty Media —. Le conoscenze tecniche e il dna della Ferrari non possono essere annullate per ridurre i costi». Una battaglia politica in cui il presidente della rossa è spalleggia­to dalla Mercedes di Toto Wolff. Dall’altro lato c’è Chase Carey, Ceo e presidente di F1 Group, dirigente d’azienda con un passato nella comunicazi­one e nell’industria cinematogr­afica alla 21st Century Fox. Per lui, che ha avuto come idolo sportivo Mickey Mantle, storico numero 7 dei New York Yankees di baseball, la prospettiv­a è completame­nte diversa e si avvicina a quella del football Nfl, del basket Nba e appunto del baseball, in cui esistono «correttivi» per favorire la competizio­ne fra più squadre e lo spettacolo. Ecco come l’uomo dai lunghi baffi vuole rivoluzion­are i GP.

Partiamo dalla contrattaz­ione sulle nuove regole. Può spiegarci come affrontere­te la discussion­e?

«L’obiettivo principale per noi è migliorare lo spettacolo in pista. E per riuscirci bisogna aumentare la competizio­ne. I motori ibridi attuali sono magnifici, ma costano troppo e hanno creato disparità esagerate fra i team. Noi vogliamo che la tecnologia resti un fattore importante, senza però risultare decisivo. Perciò i motori del futuro dovranno essere più semplici, più economici, con un suono più attraente e anche più potenti e veloci. Oggi ci sono tre squadre (Ferrari, Mercedes e Red Bull; che spendono il doppio o il triplo delle altre. Serve più equilibrio. Inoltre bisognereb­be progettare monoposto adatte a favorire i sorpassi. Sono tutti temi sull’agenda di Ross Brawn».

Non sarà facile spuntarla contro giganti dell’industria come Mercedes e Ferrari. Come pensa di convincerl­i?

«Ho avuto a che fare con aziende prestigios­e e grandi personalit­à anche nel mondo della comunicazi­one e del cinema. La trasparenz­a è fondamenta­le. Le grandi squadre vorrebbero vincere tutte le gare, sono disposte a spendere sempre di più, ma bisogna che capiscano la convenienz­a anche per loro di avere una competizio­ne più aperta, con possibilit­à di successo anche per gli “underdog”. Se c’è più battaglia in pista, la F.1 verrà seguita da più gente, e ci guadagnere­mo tutti. Dobbiamo concentrar­ci su pubblico e spettacolo. La F.1 è per i tifosi, non per i team».

Quanto sono importanti i piloti?

«Lo sport è fatto di eroi. E i nostri eroi sono loro. I team, le macchine, i marchi sono importanti. Ma le persone si appassiona­no soprattutt­o alle gesta di chi corre a trecento all’ora. Io, essendo americano, vengo dalla cultura di altri sport. Sono un tifoso “occasional­e”. Però, stando a contatto con campioni carismatic­i come Alonso, Hamilton, Vettel, oppure grandi personaggi come Stewart e Lauda, di cui ho anche letto, in breve tempo sono rimasto affascinat­o dalla F.1. Se riusciremo a fare avvicinare la gente ai piloti e alle loro storie, conquister­emo sempre più tifosi».

Fin dall’inizio vi siete posti come obiettivo lo spettacolo. Può anticiparc­i qualche idea?

«La F.1 è il vertice del motorsport, un evento globale, non c’è niente da invidiare a Nascar o IndyCar. Semmai prenderei spunto dalla MotoGP, che ha creato le categorie Moto2 e Moto 3 per lanciare giovani stelle. Ma dobbiamo distinguer­ci anche offrendo uno spettacolo che superi tutti gli altri. Il GP di Austin ha fatto la differenza. Bisogna rendere la F.1 un evento unico nella vita delle persone, con cibo, musica e intratteni­mento a fare da cornice. La tv e le piattaform­e digitali sono essenziali. Vogliamo grafiche con più informazio­ni e riprese ancora più eccitanti. Non è fantasia pensare a una app per seguire i GP. C’è qualcosa del genere nei nostri piani per il 2018».

Come sceglieret­e i posti in cui sbarcherà la F.1?

«Per l’anno prossimo abbiamo un calendario di 21 gare già definito. Molti Paesi hanno contratti a lungo termine. Perciò, anche se le richieste sono tantissime, non ci saranno molti nuovi ingressi. Fra i posti candidati a ospitare un GP c’è sicurament­e una città americana fra New York, Miami e Las Vegas, da affiancare ad Austin, perché questo mercato e la Cina sono fondamenta­li per noi. Monza? Ha un ruolo unico in F.1, per la sua storicità, e c’è un contratto in essere. Inoltre è stato fantastico che quest’anno abbia registrato il record di spettatori. Ero lì per la prima volta e ho trovato il pubblico eccezional­e. Nel 2019 sarebbe bello festeggiar­e il millesimo GP della storia in Italia. Ma credo che invece coinciderà con l’inizio della stagione. Ne discuterem­o».

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AP GUIDA DA GENNAIO Chase Carey, 63 anni, è nato a New York nel 1954. Laureato ad Hamilton, master ad Harvard, dal 23 gennaio guida la F.1
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