La Gazzetta dello Sport

Il grande sci parte da Soelden La Compagnoni scrive per noi «Azzurre, è l’anno»

- Twitter: @PaoloCond

l Milan della scorsa stagione aveva una qualità complessiv­a seccamente inferiore a quella della Juve, eppure è stata la squadra che più l’ha tormentata negli scontri diretti, con l’ovvia eccezione del Real Madrid. L’inatteso equilibrio non ebbe una particolar­e genesi tattica, non ci fu una mossa di Montella che Allegri faticò a digerire, anche perché a quei livelli nessun espediente può sopravvive­re tre partite: per chi ci crede, si può dire che nelle grandi occasioni certe maglie particolar­mente pesanti suppliscan­o alle carenze di chi le indossa. È una specie di magia che si chiama tradizione, e che spiega il grande gol a Buffon di Locatelli, sino a quel giorno quasi sconosciut­o a San Siro, o la prodezza di Donnarumma sul rigore di Dybala a Doha. Quel Milan minore seppe gonfiarsi come la rana di Fedro, ma senza scoppiare, se non nel discusso epilogo del terzo match. La perdita della Supercoppa fece arrabbiare moltissimo Allegri, calmato a stento dai dirigenti bianconeri davanti a decine di arabi perplessi. Se unite i puntini delle sue ire passate e recenti, scoprirete che la furia gli esce quando la Juve cincischia contro rivali chiarament­e più deboli: dal Carpi due anni fa alla Spal mercoledì scorso, i suoi soprabiti sono ormai veterani di guerra. Viceversa, in questi anni non si ricordano spogliarel­li contro il Napoli, o la Roma, o tanto meno il Real: passare dei quarti d’ora complicati contro le squadre forti è un’evenienza accettata. La spina staccata col Milan, fors’anche per qualche pregresso personale che ne pungolava l’orgoglio, non venne invece tollerata. Anche se è in ritardo di tre punti al traguardo intermedio delle 10 giornate, il Milan di quest’anno è certamente superiore a quello del 2016. Non a caso Allegri, nel commentare i languori difensivi di mercoledì («se non ci diamo una regolata usciremo da San Siro con le ossa rotte»), l’ha indicato come un ostacolo di alto profilo: più alto di quanto suggerireb­be la classifica, ma il tutto esaurito annunciato ieri ricolloca il fondale nobile dietro a Milan-Juve, e dunque rianima le maglie, e risveglia la tradizione. Per la prima volta nell’ultimo mese, Montella va in campo leggero: il Milan si è riacceso a Verona, alcune potenziali­tà hanno iniziato a materializ­zarsi, ma la sfida alla Juve resta fondamenta­lmente un’occasione priva di obblighi. Viceversa Allegri sa che il ritmo ossessivo di questo campionato costringer­à le prime cinque a non lasciare punti per strada, per poi giocarsela tra loro nei faccia a faccia. E per quanto questo Milan sia più dotato di un anno fa, la classifica esclude che gli si possa consentire un risultato, pena l’arretramen­to di un vagone dal treno delle prime lanciato a velocità folle. Riassunto dei punti fin qui perduti dalle battistrad­a fuori dagli scontri diretti: Napoli e Roma zero, Inter due a Bologna, Lazio due con la Spal, Juve due a Bergamo. Non è una corsa, è una discesa senza paracadute in stile Pointbreak, e in quei film non si schianta il coraggioso, si schianta il distratto. Vogliamo allora piazzare sulle spalle di Allegri l’intera scimmia del pronostico di oggi? Mica giusto. Il montaggio del puzzle uscito dal mercato milanista si è rivelato un giochino più infernale del previsto, e Montella ha accumulato in breve un ritardo eccessivo, così condannand­osi all’esigenza di un paio di imprese per riavvicina­re il treno, e magari saltarci sopra in corsa. Non semplice: può aiutarlo la consapevol­ezza di aver tolto punti e trofei l’anno scorso a una Juve più forte (o almeno più efficiente), e con un Milan più scarso. Il pensierino finale è alla notte di quiete forzata di Leonardo Bonucci, che stasera finirà di scontare la sua squalifica. Come a volte succede nelle grandi storie d’amore, il divorzio fra lui e la Juve ha lasciato entrambi stralunati: il Milan non ha ancora visto il campione che aspettava, la Juve ha perduto l’ingranaggi­o chiave della sua difesa. Forse è un bene che oggi non si affrontino, perché a fine gara sarebbero inevitabil­mente fioccate domande sulla nostalgia. E nessuno dei due se la può permettere.

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