La Gazzetta dello Sport

«NAPOLI, QUESTO È L’ANNO BUONO. E SARRI È MEGLIO DI SACCHI»

- di ALBERTO CERRUTI

Sulla carta d’identità è Albertino, ricordo di una zia religiosa, ma per tutti è Bibi dai tempi delle giovanili del Padova e nemmeno lui sa perché. Albertino, o Bibi, Bigon sa bene però che oggi compie 70 anni, ricchi di successo, come calciatore, allenatore, golfista, marito, padre di tre figli e nonno di otto nipoti. «Ormai sono un uomo bionico, con due protesi all’anca, un menisco rifatto e un altro in lista d’attesa, ma mi diverto ancora giocando a golf». Oggi il golf, ieri il calcio con tre dediche emozionate. «Ci tengo a ricordare tre persone fondamenta­li per me. Maestrelli, conosciuto a Foggia, mi ha aiutato a crescere: quando era ammalato mi telefonava di nascosto e ancora adesso mi viene il groppo in gola. Poi ho avuto Rocco che mi chiamava “el dotor”. Nessuno sapeva sdrammatiz­zare come lui. E infine Liedholm, che navigava con ironia distaccato da tutti sulla sua nuvoletta».

Lei ha cominciato come centravant­i con il numero 9, poi ha giocato sempre più indietro: si sente il primo «falso nueve» italiano?

«Nel mio debutto al Milan ho segnato 14 gol, poi ho messo la retromarci­a. Mi definivano un centravant­i arretrato come Hidegkuti ed ero orgoglioso. Sono stato il primo “falso nueve” in Italia, ma ero un universale: ho fatto anche il libero».

Vede un Bigon oggi?

«Palacio, che ha tecnica, gioca ovunque e si smarca benissimo».

C’è una partita che vorrebbe cancellare?

«Quella del 1973 a Verona, quando perdemmo lo scudetto della stella. Scappai a piangere di nascosto nella doccia».

E una che vorrebbe rigiocare?

«Quella del 1979, contro il Bologna, quando finalmente conquistam­mo la stella. La vorrei rigiocare anche perché allora non giocai per infortunio. Una beffa perché in quella stagione, per i problemi di Rivera, ero io il capitano. Fu la seconda e ultima volta in cui piansi per il calcio, ma allora di gioia».

Dallo scudetto in campo con il Milan a quello in panchina con il Napoli: che cosa le è rimasto dell’avventura con Maradona?

«Ricordi bellissimi, tanto è vero che a Napoli mi sento a casa. Partimmo subito forte vincendo le prime due partite senza Maradona. Avevo una grande squadra perché oltre a Maradona c’erano Ferrara, Francini, Alemao, De Napoli, Crippa, Carnevale, Careca, Mauro e il giovane Zola che mi dà ancora del lei e ripete che ha imparato di più in due anni con me che nel resto della sua carriera».

Che rapporto aveva con Maradona?

«Buono. Quando c’è stata la festa di Ferrara mi ha abbracciat­o. Ma già che ci siamo vorrei aggiungere una cosa».

Dica…

«Mi dispiace essere famoso solo perché ho vinto con Maradona. Prima avevo fatto due campionati strepitosi a Cesena, lanciando Rizzitelli, Bianchi e Seba Rossi: fu un’impresa».

Immaginava che sarebbe passato così tanto tempo prima di rivedere un Napoli da scudetto?

«No, ma questa può essere la stagione buona, anche se io quella parola non la voglio pronunciar­e».

Che cos’ha il Napoli più delle altre squadre?

«L’allenatore migliore. Sarri ha capito che Hamsik è il giocatore più importante, quindi fa bene a toglierlo per risparmiar­lo. Il Napoli gioca meglio di tutti, merita di interrompe­re la serie della Juve e sarei doppiament­e felice se Mertens vincesse la classifica dei cannonieri».

Sarri è stato paragonato a Sacchi, è d’accordo?

«Sarri si sta dimostrand­o molto più bravo, perché Sacchi aveva tanti fuoriclass­e, come i tre olandesi, Baresi, Maldini e Donadoni, mentre lui ha ottimi giocatori, non campioniss­imi».

Può essere un rischio la panchina corta o l’esaltazion­e dell’ambiente?

«Sono stato a Napoli e mi pare che in città ci sia una nuova maturità. Mi preoccupa più l’infortunio di Milik. De Laurentiis merita un monumento per quanto fatto, correrà ai ripari».

Più forte il suo Napoli o questo?

«Questo tecnicamen­te è più forte, noi però avevamo un mix perfetto di dinamismo, tecnica, forza fisica e tattica, più un certo Maradona: era la ciliegina, ma c’era una bella torta».

Chi vincerebbe quindi?

«Sarebbe una bella sfida, ma io saprei come vincerla. Lascerei giocare il Napoli di Sarri e poi punterei su un bel contropied­e dando la palla a uno a caso, con il numero 10...».

E così la accuserebb­ero di essere un catenaccia­ro…

«Ma io sono fatto così. E non mi pare che il mio Napoli abbia vinto facendo catenaccio».

Per chi tifa oggi?

«Ho sempre tifato Milan, perché ero ragazzino quando Rocco dalla mia Padova passò al Milan. Il Napoli, però, occupa un posto particolar­e nel mio cuore, perché lì ho vinto e poi anche mio figlio Riccardo ha lavorato per il Napoli. Molti giocatori di adesso li ha portati lui, da Reina a Koulibaly, da Callejon a Mertens, da Jorginho a Ghoulam».

Mentre il Napoli è in testa, il Milan è lontano, come lo spiega?

«Invece di prendere tre giocatori buoni, ne hanno presi troppi e non così buoni, a parte André Silva che per me è bravissimo. Montella ha bisogno di tempo, ma se arriva al quarto posto fa un’impresa».

Pochi ricordano che lei ha vinto anche in Svizzera, a Sion…

«Era il 1997, quando vinsi campionato e coppa. Anche quello era il secondo titolo del club che poi non ha più vinto, come il Napoli, per cui posso dire di avere vinto il 50 per cento dei campionati di Napoli e Sion».

Le piacerebbe andare alla festa del Napoli?

«Certo che mi piacerebbe, ma prima bisogna mettere al sicuro quella parola che sono riuscito a non pronunciar­e mai in questa intervista. E mi creda, non è stato facile».

QUANDO C’È STATA LA FESTA DI FERRARA CI SIAMO ABBRACCIAT­I ALBERTO BIGON SU DIEGO MARADONA

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