La Gazzetta dello Sport

FERRARI, RIMPIANTI E SEGNI DI RIPRESA

- di PINO ALLIEVI

Siamo già ai rimpianti, ai dubbi un pochino dolorosi che ci accompagne­ranno durante l’inverno. E alle domande senza risposta. Una su tutte: alla luce del trionfo di Interlagos, Vettel e la Ferrari avrebbero potuto vincere il Mondiale se non ci fossero stati gli errori nelle gare asiatiche? Impossibil­e dirlo, troppi i fattori che entrerebbe­ro in gioco. Però il GP del Brasile ha dimostrato come la Ferrari sarebbe stata forte anche nelle corse che ha buttato via. Il potenziale della rossa è infatti emerso ieri, con Vettel che è balzato subito in testa e ha mantenuto sino all’arrivo il paio di secondi accumulati al primo giro, complice l’inconsiste­nza del principale rivale, Valtteri Bottas mentre Hamilton, almeno all’inizio, era lontanissi­mo. Quella di Seb è stata una gara senza ostacoli, con l’unico assillo di non doversi distrarre. Ma un conto è avere un pilota nella scia che incalza, un conto è trovarsi solo, con un ritmo rassicuran­te e una vettura stabile, velocissim­a nel tratto con molte curve, efficace nella salitona che porta al traguardo dove conta la potenza. Vettel è stato bravo, la Ferrari è stata impeccabil­e nel fornirgli una vettura senza punti deboli. La quinta vittoria dell’anno è arrivata in modo poco spettacola­re ma solido e, consideran­do tutto, diventa naturale pensare che la Ferrari avrebbe potuto giocarsela almeno in volata, nella corsa conclusiva di Abu Dhabi. Invece negli Emirati, tra 15 giorni, il solo obbiettivo raggiungib­ile sarà quello di conquistar­e un altro successo e ottenere il record di vittorie dal 2010 a oggi. Consolazio­ne magra? No, consideran­do che la Ferrari nel 2016 non aveva vinto niente. I segni chiari di una ripresa ci sono e speriamo che la progressio­ne non si fermi qui perché, come ha detto Vettel, il 2018 «deve» essere l’anno del Mondiale. Ma c’è un però. E si chiama Mercedes. Ieri, per la prima volta nel campionato, si sono visti gli altissimi limiti della monoposto anglo-tedesca, che nelle mani di Hamilton ha stupito tutti, arrivando a soli 5’’4 dalla Ferrari di Vettel dopo essere partita dalla corsia dei box. È vero che, quando si guida una Mercedes o una Ferrari, è possibile risalire con agilità nelle posizioni alte, seppure scattando in fondo al gruppo. Però Hamilton non ha soltanto guadagnato 16 posizioni, ma anche una valanga di secondi. L’ha fatto con due diversi tipi di gomme e con la temperatur­a dell’asfalto molto elevata, di solito congeniale alle rosse. Una gara impression­ante, da campioniss­imo, con una differenza di prestazion­i abissale rispetto al compagno Bottas. Una minaccia anticipata in chiave 2018, tuttavia macchiata dall’errore di sabato: nessuno è perfetto. Ma Hamilton ha sbagliato soltanto a Mondiale chiuso: e pure questa è una differenza che, alla fine, è stata determinan­te.

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