La Gazzetta dello Sport

TUTTI A CASA: SI RIPARTE COSÌ!

- di ANDREA MONTI

Segue dalla prima

All’infinita delusione dei 70.000 sugli spalti e dei molti milioni che hanno sofferto davanti alla tv si aggiunge la sensazione che le parole grosse volate alla vigilia, in realtà, fossero sbagliate per difetto. Non è stata un’apocalisse, non ne ha avuto la biblica grandezza. E neppure una catastrofe, figlia del destino cinico e baro. La sconclusio­nata partita della Nazionale contro la Svezia, un avversario di infinita modestia, è parsa piuttosto un naufragio mesto e colpevole. Fatte le debite proporzion­i, l’equivalent­e sportivo del Titanic: zavorrato da un carico di mollezza e di superbia, il bastimento azzurro è affondato nel caos per responsabi­lità unica ed esclusiva degli uomini. Nessuno escluso. Facile, facilissim­o prendersel­a con l’allenatore. Ma i peccati del nostro capitano di sventura, più ospite che padrone della sua barca, non assolvono l’equipaggio e neppure l’armatore. Tutti sotto accusa: Ventura, i giocatori, la Federazion­e, l’intera organizzaz­ione del nostro calcio, la politica. Con il possibile concorso dei media colpevoli forse di non aver segnalato con ancor maggiore energia gli iceberg all’orizzonte. Tutti chiamati a pagare pro quota il prezzo salato della mancata qualificaz­ione.

Nel day after, il gioco delle sentenze è crudele ma inevitabil­e. Ventura per dignità personale non può che andarsene. La sua insistenza su moduli inadeguati, l’assenza di movimenti e di identità, quei tre difensori centrali tenuti a palleggiar­e in orizzontal­e sino al novantesim­o, l’incapacità di offrire un ruolo a Insigne, il nostro uomo tecnicamen­te più dotato, sono apparsi peccati abbagliant­i nell’inferno di San Siro. Quanto a Buffon e gli altri grandi vecchi sono attesi da un contrappas­so ancor più feroce: spinti all’addio da una sconfitta incancella­bile dopo tante vittorie memorabili. In Federazion­e, invece, Tavecchio pare intenziona­to a non mollare: in fondo, si dice, dopo un inizio farcito di gaffes ha conseguito risultati non disprezzab­ili sul piano internazio­nale, aveva scelto Conte, ci ha portato la Var. Sarà, ma il calcio italiano va rifondato alle radici. E per farlo occorrono facce e idee nuove. Senza arrivare alle precipitos­e dimissioni di Abete dopo il fiasco brasiliano, crediamo che il presidente debba trovare presto un modo dignitoso per lasciare campo libero al dibattito e al rinnovamen­to. Del resto la congiunzio­ne astrale che ci porta un’estate senza mondiale e un nuovo governo (chissà quale) invita al cambiament­o.

Ce n’è un gran bisogno. Dopo il trionfo del 2006, l’Italia è uscita nella fase a gironi sia in Sudafrica che in Brasile, è sprofondat­a nel ranking e stavolta non si è neppure qualificat­a. Non è solo colpa di Ventura se un torneo che mette in campo il 56 % di stranieri gli ha consegnato un campionari­o vivente di contraddiz­ioni. Usurata la generazion­e degli eroi di Berlino, disperatam­ente priva di grandi talenti quella di mezzo, ancora acerba la nidiata dei giovani che giocano poco e non accumulano conoscenze. Se il materiale umano si è rivelato fragile ancor più lo sono istituzion­i prive di managerial­ità. Come pensare che le leghe di A e B, paralizzat­e dalle personali convenienz­e di Lotito, possano mettere mano alla riforma dei campionati e al ripristino dei vivai? In Spagna i grandi club destinano almeno il 10 % del loro enorme fatturato alle giovanili, in Italia i club più virtuosi arrivano a stento ai dieci milioni. Questi sono i temi che sin da domani la Gazzetta porrà sul tavolo. La batosta resterà. Terrifican­te, indigeribi­le, indimentic­abile. Dobbiamo far di tutto perché almeno serva a qualcosa.

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