Scelte sbagliate Certezze vane Requiem amaro di un uomo solo
1Fino all’ultimo il tecnico si era detto convinto di farcela, ma l’avventura finisce nel modo peggiore: con gli insulti di S. Siro
Sul tabellone illuminato dalle luci stavolta impietose di San Siro non c’è scritto solo Italia-Svezia 0-0. C’è scritto anno zero, capolinea. Si scende tutti. Scende l’Italia, scende soprattutto Gian Piero Ventura e lui non salirà più.
FISCHI E VAFFA Lo dice la logica di un insuccesso sportivo storico che ci riporta indietro di 60 anni, una bocciatura fragorosa, un isolamento ormai insanabile. Lo dice il rumore assordante dei fischi che hanno quasi coperto la voce dello speaker che leggeva il suo nome prima che entrasse in campo. Il «vaffa» insistito, crudele di San Siro che lo ha accompagnato all’uscita dal campo, dopo un abbraccio fugace con i giocatori incrociati sul cammino: Bonucci, Buffon, Parolo, Chiellini. E lo dice ovviamente il suo contratto con vista sul Mondiale mancato, e prolungamento condizionato. Restare fino a giugno non avrebbe senso, a questo punto. E nessuno lo vorrà. Resta da vedere se lui vorrà dimettersi, come ha fatto in passato chi lo ha preceduto su quella panchina. Anche di questo, e molto altro, Ventura e i vertici dirigenziali della Figc hanno parlato in un lungo vertice post partita. Morale sotto i piedi e tensione alle stelle: in gioco a questo punto non c’è solo il futuro del c.t., anzi.
CASTELLO C’è da capire come uscire da questo tunnel lungo più di due mesi in fondo al quale solo Ventura, forse, si era ostinato a vedere la luce. Due mesi abbondanti a camminare sul filo, anzi sul baratro, di un dissenso che ha sfiorato, ipse dixit, l’accanimento. A guardare il castello che aveva creduto in solida costruzione sgretolarsi piano piano fra dubbi esterni e anche interni, critiche, segnali sinistri di recesso delle sue idee, dunque del suo progetto. L’altare dell’obbligo di andare al Mondiale come luogo del sacrificio di tutto, a cominciare dal suo operato. Un uomo solo e non al comando, non come aveva immaginato. PAROLE, PAROLE, PAROLE
E sì che non aveva mai dubitato di tagliare il traguardo minimo: ieri tutte le parole di questi mesi gli si sono rivoltate contro. Quelle di fiducia, spese a volte con eccessi di sicurezza difficili da capire, seppur scherzosi: «La Spagna? Ce la fumiamo», quando il tracollo di Madrid era ben lontano. Quelle dette con l’umana voglia, forse la fiducia autoimposta, di considerare la qualificazione una frontiera certa. All’alba della sua era: «Se avessi avuto il timore o il dubbio di non arrivarci non avrei nemmeno iniziato». E al tramonto, l’altro ieri: «Le cose dette a sproposito su di me non intaccano la gioia che avremo dopo aver passato il turno». CATASTROFE
Ma anche molte altre, rilette oggi, suonano più che beffarde: «Se andremo in Russia sono convinto che saremo la sorpresa del Mondiale, ci divertiremo». Se, appunto. Quel «se» dimenticato altre volte, l’ultima una settimana fa: «Andremo al Mondiale e il vantaggio sarà per tutto il movimento». Invece l’«Apocalisse» (copyright Tavecchio) e la «tragedia» (Malagò) sono puntualmente arrivate: non erano state semplice evocazione del senso di «catastrofe» incombente sul movimento calcistico italiano. Catastrofe: fu proprio Ventura a usare quel termine. Non sapeva ancora che si stava irrimediabilmente autodenunciando.
3 LO SCENARIO In questo tunnel lungo due mesi solo lui si ostinava a vedere la luce Ora c’è da chiarire se Ventura vorrà dimettersi come i suoi predecessori
Gli anni passati dall’ultima volta che la Nazionale non è riuscita a far gol per due gare di fila: dal Mondiale 2014 contro Costa Rica e Uruguay.