MILANO, RICORDATI ANCHE DI BEARZOT
Dopo la via intitolata a Valentino Mazzola
I eri il Comune di Milano ha intitolato una via a Valentino Mazzola, leggendario capitano del Grande Torino, padre di Sandro e Ferruccio, scomparso ad appena 30 anni nella tragedia di Superga, il 4 maggio 1949. Il presidente granata Urbano Cairo, che coltiva il bene prezioso della memoria come aveva già dimostrato ribattezzando Grande Torino lo stadio Comunale del suo Toro, ha applaudito l’iniziativa, ultima di una nuova serie. La settimana scorsa, infatti, a vent’anni dalla scomparsa, sono stati intitolati a Helenio Herrera i giardini di piazza Axum davanti allo stadio di San Siro, alla presenza della moglie e del figlio del Mago. Peccato che la cerimonia sia stata disturbata da due membri del comitato «Intitoliamo una strada a Nereo Rocco», anche se è vero che il Paròn meriterebbe di essere ricordato nella città dove è diventato il tecnico più vincente della storia del Milan, con 10 titoli.
Come già capitato per Giacinto Facchetti e Cesare Maldini, l’ideale sarebbe stato affiancare il suo nome a quello di Herrera per mettere a tacere tutti. Ma, comunque la si pensi, è giusto che i grandi sportivi del passato, come i grandi giornalisti Brera e Montanelli, abbiano un angolo di Milano in cui siano ricordati almeno con una targa. E allora, ripensando alla Nazionale che ieri sera lottava per andare al Mondiale, perché nessuno è mai stato sfiorato dall’idea di intitolare un giardinetto, una via, o una piazza a Enzo Bearzot, il mitico c.t. che ha portato l’Italia al titolo iridato nel 1982, col record di partecipazioni ai Mondiali (3 nel 1978, 1982 e 1986) e il record di presenze (104) sulla panchina azzurra? L’obiezione che Bearzot era friulano non regge, per molti motivi. È vero che il Vecio era profondamente attaccato alla sua terra, ma Milano è stata la «sua» città, dove nel 1947 sul tram numero 3, in corso Italia, ha conosciuto la donna della sua vita, la dolce e discreta signora Luisa. Un anno dopo ha fatto il debutto in A proprio a San Siro, con la maglia numero 5 dell’Inter, contro il Livorno. E l’Inter per lui è sempre stata il «primo amore che non si scorda mai». Poi, dopo aver giocato con il Catania e il Torino, chiudendo come capitano granata, dal 1970 è tornato a Milano, prima in via Washington e poi in via Crivelli, a Porta Romana. Cinquant’anni vissuti a Milano, più di metà della sua vita chiusa a 83 anni, il 21 dicembre 2010, dove si è sposato e sono nati i suoi figli, i suoi nipoti, i suoi pronipoti. Bearzot amava passeggiare tra Porta Ticinese e Porta Romana, meravigliandosi negli ultimi anni che qualcuno lo riconoscesse. A Milano si è svolto il suo funerale, con la bara del Vecio portata a braccia da Zoff e compagni, e vicino a Milano, nella tomba di famiglia della moglie, a Paderno d’Adda, ha voluto essere sepolto per non allontanarsi troppo da figli, nipoti e pronipoti. Ma soprattutto a Milano era tornato come campione del Mondo il 12 luglio 1982. Quella Milano scesa nelle strade con le bandiere tricolori nella notte precedente, senza distinzioni di tifo tra interisti e milanisti. La stessa Milano che non può continuare a ignorarlo. Per la serie «meglio tardi che mai».