«Senza uguali la bellezza della nostra amicizia»
Caro Vittorio, in bicicletta, quando vincevi le famose trenta grandi prove, il tempo addosso a te non passava mai; e il Giro, dopo il traguardo, stremato dalla fatica pareva dondolasse, mentre tu ne uscivi come se durante la corsa un benevolo vento avesse scelto solo la tua schiena. Eri l’immagine della grazia accordata ai talenti che conoscono la strada e il momento, la voglia e l’estro di stupire. Per esempio quel giorno, a Imola, quando con quasi 10 minuti di vantaggio conquistasti la maglia iridata, sfidando il vano inseguimento dei grandi rivali. Ne ho un ricordo bellissimo, forse meno nobile del mondiale, ma è un chiodo fisso che la nostra amicizia deve alla bellezza quotidiana dei velocipedisti - come li chiamava il poeta Alfonso Gatto - che al Giro dal fondo della corsa si giocavano i polmoni sognando di volare anche lungo le discese con le curve irte delle punte aguzze che strappavano la maglietta di Nencini, la più temeraria delle rondini d’argento. So tante cose belle della tua vita, a cominciare da tua moglie Vitaliana che accudiva la vostra serenità anche negli anni della tua frastornante popolarità. E non so se devo festeggiarti per le invenzioni dei nostri “processi” o perché, alla pari con i gregari, tenevi in vita non dico l’innocenza, ma come si fa col pane nella madia; e, dove si passava, qua e là si sentiva l’odore delle case ancora contadine in un tempo che oggi stenta a farsi credere vero.