La Gazzetta dello Sport

«Piccoli fastidiosi? Meglio i miei che quelli del Napoli»

- Pierfrance­sco Archetti INVIATO A CALMASINO (VERONA)

Dario Dainelli, 38 anni, 434 partite in Serie A, ha saltato l’ultima, col Napoli, per un’emergenza da sala parto: «Alle sei del pomeriggio della vigilia mia moglie ha sentito movimento, sono andato in ritiro ma nel dopocena sono dovuto scappare velocement­e. Edoardo è nato alle 23.37».

Congratula­zioni, signor Dainelli, è il primo figlio?

«No, è il terzo. Ci sono già Ettore e Eva».

E per il terzo, alla sua età e con la sua esperienza, doveva lasciare la squadra? Voleva evitare Mertens e il Napoli?

«Dovevo andare, mia moglie Rebecca era sola. Fra i piccoletti fastidiosi, ho preferito tenere i miei bambini piuttosto che i tre davanti del Napoli».

Se avesse giocato avrebbe però potuto fare una dedica al neonato, il segno della culla, il pollice in bocca.

«Per il segno della culla era dura: bisogna far gol. Però io la mattina sono tornato in ritiro, ci ho provato. Ho parlato con Maran, ci siamo guardati negli occhi, i miei erano abbottonat­i e abbiamo deciso che era meglio dare spazio a qualcuno più fresco e concentrat­o di me».

Sviolinata uno: il Chievo è una famiglia. Di che tipo?

«E’ una famiglia che ha regole e abitudini. A volte sono tanto ferree, con una storicità di ambiente e con un presidente abitudinar­io. Si crede che sia giusto comportars­i come si è sempre fatto, magari chi arriva da fuori non apprezza subito, perché vedi delle diversità da altri posti, però dopo poco capisci che è l’aspetto che fa la differenza. Cambiament­i ponderati, ma pensati e desiderati».

Nel suo caso?

«Sono arrivato a fine gennaio 2012, da una situazione difficile a Genova, con infortuni e sospetti di presunta combine in un derby. Ma nelle difficoltà ti accorgi delle persone che ti fanno bene, il presidente e il Chievo fanno parte di queste. Ero in prestito, poi sono rimasto anche se dal punto di vista contrattua­le non era facile, perché a Genova c’erano altri parametri di stipendi. La mia scelta è stata giusta, sono qui da oltre cinque anni».

Sviolinata due: il Chievo sa sempre cosa fare in campo, i giocatori non perdono mai la testa. Come ci si arriva?

«Lo spirito del Chievo è sapere da dove viene e quale è la strada. La volontà è quella di aiutarsi l’uno con l’altro perché a livello tecnico, di età o di valori la maggior parte delle squadre ha qualcosa di più».

Franz Beckenbaue­r, c.t. campione del mondo nel ‘90, diceva ai suoi giocatori: andate fuori e giocate a calcio. Forse Maran dà indicazion­i maggiori?

«Avevo un allenatore al settore giovanile a Empoli che quando incontrava­mo le più forti, tipo la Juve, ci diceva: “Ragazzi, andate e giocate come non sapete, perché se giocate come sapete si perde”. Maran è molto conscio dei nostri pregi e difetti, la differenza viene data dalla consapevol­ezza di questo. Ci compensiam­o».

Domenica in Torino-Chievo vedrà Belotti. Come rappresent­ante della classe media calcistica, ora che siamo fuori dal Mondiale, le dirà «mi spiace» o

SU MONTELLA E DINTORNI

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