L’allievo di Sacchi empatico e gestore come Bearzot e Lippi
Un obiettivo, ma soprattutto un sogno. Aprile 2005, Carlo Ancelotti è allenatore del Milan. Un giorno va a San Vittore per partecipare a un incontro moderato da Candido Cannavò. Al ritorno, in macchina con il direttore della Gazzetta e un cronista, parla del suo futuro. E’ una chiacchierata informale e quindi nulla finisce sul giornale. Oggi, però, non c’è nulla di male nel ripescare dalla memoria quelle parole: «Quando avrò concluso la mia avventura nel Milan, magari dopo aver vinto un’altra Champions, mi piacerebbe allenare il Real e poi la Nazionale. Sarebbe bello eh?». Ancelotti vince la seconda Champions col Milan nel 2007 e poi, dopo esser passato da Chelsea e Paris St. Germain, sbarca al Bernabeu. Tra pochi giorni, dopo l’esperienza in Germania, Carletto potrebbe approdare sulla panchina azzurra. Sarebbe un ritorno al punto di partenza perché il primo incarico da tecnico fu quello di vice del c.t. Arrigo Sacchi.
GESTORE Ancelotti (che sarebbe protetto dal d.g. della Figc Michele Uva) godrebbe di un enorme credito iniziale: «Un ottimo allenatore e una persona perbene» è il giudizio di chi lo conosce bene e anche della gente comune. Non è un integralista e quindi non affosserebbe la Nazionale in nome di un modulo. L’errore lo fece tanti anni fa scartando Zola perché non adatto al 4-4-2. Sbagliando si impara e da allora Ancelotti ha capito che la qualità viene prima di tutto. Così è passato dal «no a Zola» al doppio trequartista dell’Albero di Natale. E pazienza se non piaceva a Berlusconi. Qualità, nel 2002, significò arretrare Pirlo nella posizione di play: Andrea aveva 23 anni, Verratti addirittura 20 quando Ancelotti gli affidò le chiavi del Psg e Morata 21 quando cominciò a farsi largo nel Real di Carletto che vinse la Decima. Ancelotti non fa la formazione guardando la carta d’identità: se uno è bravo, gioca. E se diventerà c.t., l’andatura sarà lineare come la gestione delle sue squadre: chiamerà i migliori e poi troverà il vestito più adatto. Nella sua carriera è stato gestore almeno quanto allenatore e in Nazionale adesso ci sarà ben poco da gestire: l’obiezione, legittima, è avanzata da chi riterrebbe più funzionale una figura alla Conte. Ma la ricostruzione dell’Italia sarebbe per Ancelotti un motivo di orgoglio e la più grande sfida professionale.
EMPATIA Il valore aggiunto, poi, Carletto lo darebbe nello spogliatoio. I più grandi risultati della storia azzurra sono arrivati con c.t. in grado di sviluppare una straordinaria empatia con il gruppo: Bearzot e Lippi hanno messo le basi dei loro trionfi mondiali fuori dal campo. E lo stesso vale per Conte e lo splendido Europeo 2016. Ancelotti ha un carattere diverso, ma la stessa facilità nel creare un feeling particolare con i suoi giocatori (Bayern escluso) e sa assorbire le pressioni. Sarebbe allenatore, ma soprattutto guida: per ricondurre l’Italia lì dove deve stare.