La Gazzetta dello Sport

IL DOPPIO CARRARO E CALCIOPOLI

- LA ROVESCIATA di ROBERTO BECCANTINI

N el libro che Franco Carraro ha dedicato a sé stesso attraverso la penna di Emanuela Audisio, «Mai dopo le ventitré / Le molte vite di un riformista», Rizzoli editore, non poteva non affiorare Calciopoli. E difatti affiora. Passeggian­do fra la cotta per Joao Havelange, non proprio uno stinco di santo, e le sentenze della giustizia sportiva e non (scandalose, a mio avviso) che ne gratificar­ono il curriculum l’azzerament­o da quattro anni e sei mesi di squalifica a nemmeno un euro di multa - il dirigente più ex d’Italia commenta così, a pagina 229, il verdetto che demolì la Juventus, retrocessa in serie B e privata di due scudetti.

«Io ritengo giusto che la Juventus abbia pagato per quello che hanno fatto Moggi e Giraudo. Nel senso che hanno violato i regolament­i. Ma credo che anche in quell’epoca a vincere i campionati sia stata la squadra più forte o più fortunata. E’ giusto aver preso delle decisioni sulla Juventus per quello che riguarda il 2004 e il 2005, ma è stato sbagliato da parte di Guido Rossi assegnare a tavolino all’Inter lo scudetto del 2006».

Qual è il problema? Il problema coinvolge le cosiddette interviste «di lancio», interviste nelle quali Carraro, ai tempi di Calciopoli presidente federale dimissiona­rio, non batte gli stessi sentieri. Sul «Corriere della Sera» del 1° novembre Aldo Cazzullo gli chiede se Luciano Moggi influenzas­se o non influenzas­se questi benedetti arbitri. Risposta: «[Moggi] non è mai riuscito a far vincere un campionato alla Juve in modo illecito». Altra domanda: sta dicendo che Calciopoli si basa sul nulla? Altra replica: «Non c’è un euro. E’ solo una questione di potere, o forse solo di chiacchier­e».

Di chiacchier­e, addirittur­a. Ma allora perché scrivere, nell’autobiogra­fia, che fu giusto che la Juventus pagasse per quello che avevano combinato il suo ex direttore generale (Moggi) e il suo ex amministra­tore delegato (Giraudo)? Carraro ripete gli identici concetti a Valerio Piccioni sulla «Gazzetta dello Sport» del 9 novembre. In sintesi: giusto confiscare i due titoli a Madama, ingiusto regalarne uno all’Inter. «Proprio così, è lo stesso pensiero che allora manifestò anche Candido Cannavò». E ancora, più in generale: «Non si è mai rintraccia­to un euro illecito. Per me è stata una partita di potere, incentivat­a da un sacco di chiacchier­e».

Per questo, soprattutt­o per questo, ho letto e riletto le righe del testo che inchiodava­no la Juventus. «In un viale senza uscita, l’unica uscita è nel viale stesso», sosteneva papa Wojtyla (da un articolo di Barbara Spinelli su «La Stampa» del 3 aprile 2005). Nel nostro caso, però, le uscite (e le versioni) sono due, due come le buste che di solito si consegnano ai concorrent­i dei telequiz perché poi si arrangino.

Resta un classico dell’oratoria nazionale buttarsi con il paracadute del «ma anche». Carraro è Carraro. Sa bene che i santi in paradiso non servono. Servono in terra. Come, per esempio, Piero San-Dulli, il presidente della Corte federale che derubricò a innocenti «pissi pissi» le telefonate in cui il grande capo chiedeva ai designator­i Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto di non favorire la Juventus (perché, la favorivano?) e di non trascurare una certa qual partita tra Lazio e Brescia, commosso dai titoli dei giornali romani: «Congiura contro la Lazio». Franco (quasi) sempre.

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