EPPUR NON SI MUOVE
Il presidente ottiene la fiducia, licenzia il c.t. e lavora per un sostituto di grande livello. Carlo non ha pregiudizi, ma non si legherebbe a una Figc debole
N o, non hanno capito. O fingono di non capire, che è pure peggio. E allora tocca ripetere in quattro parole magari un po’ brutali quanto già scritto con maggior grazia sulla Gazzetta nella notte della disfatta e poi certificato ampiamente dal sentimento popolare: se ne devono andare. Oltre a Ventura, anche Tavecchio e gli altri responsabili dell’incredibile eliminazione dal Mondiale non sono più presentabili...
Via Ventura Tavecchio si aggrappa alla poltrona e ad Ancelotti
Fuori, l’inverno che incalza, un muro di telecamere pronte a sbranarlo, il popolo virtuale del «te ne vai o no?», e in strada un paio di isolati contestatori dagli scooter: «Dimettiti!», urlano piroettando nel traffico. Dentro, l’inferno che lo attende al varco, cinque componenti cui far digerire «l’indisponibilità a dimettersi», almeno un paio che non escludono di sfiduciarlo, la fiducia ottenuta con l’eccezione dei Calciatori, e alla fine un riconoscimento unanime, comunque la si pensi, alla resistenza dell’uomo di Ponte Lambro. «Presidente, sei un leone», gli dicono quando, esausto, sbuca dall’ascensore per regalare al popolo afflitto il primo ricostituente dopo la botta svedese. «Stiamo lavorando per affidare la Nazionale ad un grandissimo allenatore».
RIFORME E PANCHINA Diciamolo francamente: il piano di riforme che Carlo Tavecchio si è impegnato a stilare e che lunedì dovrà ottenere l’ok del Consiglio federale è l’unica chance di sopravvivenza a grandi livelli del calcio italiano. La cura dei vivai, il tetto all’uso degli extracomunitari, il varo delle seconde squadre e del semiprofessionismo, i progetti per il rilancio delle infrastrutture, l’introduzione di criteri più selettivi per il rilascio delle licenze – tutti temi
CERCHIAMO ALLENATORI IMPORTANTI: LUNEDÌ ESPORRO’ IL PROGRAMMA CARLO TAVECCHIO PRESIDENTE FIGC
discussi nella riunione di ieri pomeriggio – sono i provvedimenti cui affidare il cambio di passo federale. Ma la resistenza di Tavecchio, almeno agli occhi dei milioni di tifosi della maglia azzurra, oggi passa attraverso la scelta del successore di Gian Piero Ventura, come da pronostico esonerato al telefono e senza troppi complimenti. «Non abbiamo più bisogno della sua collaborazione», gli ha comunicato freddamente il presidente (e pazienza se alle casse federali costerà altri 800mila euro netti). Hanno un disperato bisogno, Tavecchio e il calcio italiano, di ripartire con Carlo Ancelotti, un grande, grandissimo nome, nelle condizioni di dare la propria disponibilità nel giro di qualche giorno, anche se dovesse cominciare l’avventura a luglio (quando finirà il suo rapporto col Bayern Monaco). La trattativa sta procedendo bene, in un paio di giorni l’ipotesi di affidargli la ricostruzione azzurra è passata da improbabile a più che possibile. Il primo contatto lo ha stabilito martedì sera il direttore generale Michele Uva, che gli è amico dai tempi di Parma, incassandone la disponibilità. Ieri Tavecchio ha fatto un altro passo avanti attraverso un intermediario, mettendo insieme i primi pezzi del mosaico: Ancelotti non ha pregiudizi nei confronti degli attuali vertici federali, tutt’altro, ma pretende chiarezza, interlocutori precisi e autorevoli, definizione e rispetto dei ruoli. Nell’immediato, non vuole legarsi ad una Figc debole, invisa al Coni e nel mirino della politica. Ecco perché il passaggio di lunedì – non per caso fissato in concomitanza con gli Stati generali dello sport al Coni –sarà funzionale anche al buon esito della trattativa col nuovo c.t. azzurro: un voto di fiducia ampio e chiaro dal Consiglio rafforzerebbe la posizione di Tavecchio, potrebbe inaugurerebbe il nuovo corso della Figc e, probabilmente, scioglierebbe gli ultimi dubbi di Ancelotti.
IL RUOLO DI GRAVINA La riunione di ieri – a cui, fatto anomalo, non ha partecipato il d.g. Uva – ha sciolto i primi dubbi – altri ne restano – sulla tenuta di Tavecchio. L’uscita di Malagò del giorno prima – «Fossi in lui mi dimetterei» – ha finito per agevolargli il primo redde rationem post-Svezia. Più di un partecipante, infatti, ha gridato all’«invasione di campo» e alla necessità di preservare «l’autonomia e l’integrità del sistema». Cosimo Sibilia si è mostrato compagno leale e lunedì, dopo aver condiviso la posizione col Consiglio direttivo della sua Lnd, darà il sostegno ad una lista di provvedimenti che lui stesso da tempo invoca per il rilancio del sistema. Gabriele Gravina è, in questa fase, il valore aggiunto di Tavecchio. «Non saremo noi a far cadere il governo federale in un momento tanto delicato», aveva promesso. È stato di parola, a patto di dare il proprio contributo al «piano di provvedimenti straordinari con cui davvero dovremo voltare pagina». Renzo Ulivieri è stato l’unico a sgombrare il campo da dubbi e illazioni anche pubblicamente: «In cinque mesi questo Consiglio federale ha fatto tante cose buone, perché buttare via tutto?», con l’aggiunta, piuttosto pepata, di una riflessione sulla posizione di Giovanni Malagò. «Da uno del suo ruolo mi sarei aspettato altre considerazioni, così non lo riconosco più come capo dello sport italiano». Una stilettata che non ha scosso più di tanto il presidente del Coni, tornato però più istituzionale rispetto alla posizione barricadera di martedì. «È un’opinione di Ulivieri, non polemizzo. E se il calcio italiano ha deciso di fare quadrato intorno a Tavecchio – il commento di Malagò –, lo rispetto, anzi magari ne uscirà qualcosa di positivo per un mondo spesso troppo litigioso. Io non avevo dato per scontato che Tavecchio seguisse il mio consiglio, se ritiene che il calcio possa andare avanti col suo nome è libero di assumersi questa responsabilità».
ULTIMO DEI MOHICANI Damiano è rimasto solo». Ieri, quando ha capito che non tirava aria di dimissioni, il presidente dell’Assocalciatori si è alzato e se n’è andato. «Io mi aspettavo che si discutesse di quando fissare nuove elezioni – ha detto all’uscita –. Volevamo sentirci dire che si sarebbe ripartiti da zero, con le dimissioni: senza questa premessa, per noi è difficile parlare d’altro».