La Gazzetta dello Sport

EPPUR NON SI MUOVE

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No, non hanno capito. O fingono di non capire, che è pure peggio. E allora tocca ripetere in quattro parole magari un po’ brutali quanto già scritto con maggior grazia sulla Gazzetta nella notte della disfatta e poi certificat­o ampiamente dal sentimento popolare: se ne devono andare. Oltre a Ventura, anche Tavecchio e gli altri responsabi­li dell’incredibil­e eliminazio­ne dal Mondiale non sono più presentabi­li. Non perché siano cattivi d’animo, portino sfiga o ci stiano sulle scatole a prescinder­e ma perché servono idee e facce nuove. E solo sgombrando il campo da quelle vecchie, il calcio italiano può rialzarsi e ripartire.

Eppur non si muovono… sebbene non serva Galileo per comprender­e la frequenza su cui oscilla, tra sventure e trionfi, il pendolo della storia pallonara. Visto che attorno alla sede romana della Figc non mancano i bar, al presidente Tavecchio e ai vertici del nostro calcio sarebbe bastato un caffè al banco per annusare l’aria che tira. E invece ieri si sono rinchiusi nelle stanze eleganti a un passo da Villa Borghese, hanno serrato ranghi per anni dilaniati da sotterrane­e inimicizie e, con il dissenso aperto del solo Tommasi, hanno partorito un piano di salvataggi­o che sfida la saggezza e la decenza. L’obiettivo è conservare la poltrona a dispetto dei santi. Lo strumento prescelto è astuto: dare in pasto al popolo furente un nome indiscutib­ile. Per esempio affidare la panchina azzurra all’universalm­ente amato e stimato Carlo Ancelotti... Già, se lui ci sta chi li ammazza?

Infatti, è probabile che riescano a sopravvive­re e che questo articolo si aggiunga come un coriandolo a tante altre parole al vento. Perché Tavecchio & C. sono parte di un organo elettivo e nessuno può farli saltare senza un motivo. Ovviamente motivi validi ce ne sarebbero in abbondanza, e lo vede anche un bambino, ma ne manca uno tecnicamen­te e legalmente inoppugnab­ile. Quindi nessuno può cacciarli. Non i giornali, non l’opinione pubblica, non il governo e neppure Malagò che ci ha tentato (ma dovrebbe continuare con vigore, qualche strumento di pressione in più lui ce l’ha…). Nessuno, dicevamo, tranne la voce della loro coscienza.

In attesa che si faccia viva, sfuggente e beffarda come il fantasma di Godot, il palcosceni­co resta ingombro e gli attori recitano a soggetto. Maluccio si direbbe. Ventura non schioda e preferisce farsi dimissiona­re per non smenarci i soldi restanti del contratto: beh, sul denaro e sui diritti non si discute ma anche la dignità ha un suo prezzo. O no? Quanto a Tavecchio si difende dicendo che in fondo lui in campo non c’era e rivendica i suoi meriti. Vero: dopo un inizio da brivido farcito di gaffe, ha raccolto buoni successi sul piano internazio­nale, aveva scelto Conte, ci ha portato la Var. Peccato che in democrazia ogni rappresent­anza sia sorretta dal principio della responsabi­lità politica. Capisco che possa suonare altisonant­e e allora lo traduco nel linguaggio degli stadi: se perdi vai a casa. E non sarà - non dev’essere - Ancelotti o il Padreterno in persona a salvarti il lato B. Per questo chiudiamo con un consiglio non richiesto al più saggio, amabile e competente tra gli allenatori: pensaci Carletto. E se decidi di accettare la sfida definisci competenze e confini in maniera ferrea. Sei una colonna del nostro calcio, non la stampella dei suoi declinanti poteri.

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