Troppi palloni sgonfi L’Italia non fa squadra
Il 2017 ha fatto piangere tutto il nostro sport, non soltanto il calcio: le stelle mancano, i club non formano, siamo sempre più individualisti
Non sappiamo fare più squadra nello sport? In effetti, il 2017 ci ha fatto piangere un po’ ovunque. Mischiando risultati deludjenti e disavventure eventuali e varie: l’Italvolley senza Zaytsev, l’uomop bandiera, rimasto a casa per la vertenza scarpe; la gomitata di Gallinari che toglie al basket azzurro uno dei suoi leader; il virus che mette k.o. mezzo Settebello prima dei Mondiali. Fino al naufragio calcistico. Un flop tira l’altro.
PALLE E PROCURATORI
Naturalmente non si possono mischiare pere, mele o pesche. Ogni disciplina e ogni crisi fa storia a sé. Come fai a mettere sullo stesso piano il volley argento olimpico in carica e il calcio che ha accumulato tre capitomboli mondiali? Però quattro, cinque, forse più indizi fanno una prova. L’io batte il noi. Facciamo un gioco: citiamo la prima o il primo campione che ci viene in mente? Popolarità della disciplina e tifo a parte, la lista è capeggiata dalle Federica Pellegrini, le Bebe Vio, i Greg Paltrinieri, i Gabriele Detti, i Niccolò Campriani. Poi ci sono le prove di squadra, ma quello è un altro discorso. A proposito, l’ex spadista Luigi Mazzone è lo psicologo dei suoi eredi. Risultati: argento a squadre a Rio, oro individuale di Paolo Pizzo ai Mondiali. «Non si diventa squadra con un urlo nello spogliatoio.
Fra il dire “voglio fare” e il “fare” c’è un pezzo, c’è lavoro. Da noi prevale la retorica del tirare fuori le palle, ma a volte la palle non bastano! Oppure quella del cuore, però il troppo cuore significa mancanza di lucidità». Coach Valerio Bianchini, il «vate» per chi mastica basket, apre un altro fronte: «Bisogna tornare alle trasformazioni epocali degli Anni 90, alla fine dell’epoca del cartellino. Socialmente una svolta positiva. Ma il giocatore oggi si sente meno protetto, “preda” della mentalità mercantile di molti procuratori. La liberalizzazione, combinata con la globalizzazione, ha creato una situazione in cui il club sceglie il giocatore già fatto e non si dà da fare per formarlo»
SCUOLA FERMA
In effetti uno dei momenti più critici dello sport italiano è l’esame di maturità. Nel passaggio giovanileassoluto ci si perde. È il punto di criticità del sistema italiano insieme con una difficoltà ormai ripetuta negli sport di squadra. Per il resto, il trend dei risultati non è negativo. Il Coni ha fatto i conti: proiettando i verdetti mondiali sulle gare olimpiche di Tokyo 2020, arriviamo a 35 medaglie, di cui 15 d’oro, ben oltre Rio. Anche se all’Olimpiade è tutto più difficile. C’è un problema di sistema? «Quello che nascondiamo grazie alla creatività individuale, emerge nelle difficoltà delle squadre.- spiega Mario Bellucci, professore di educazione fisica e cultore della materia all’università del Foro Italico - Paghiamo anche le nostre politiche: in Italia, a scuola, l’attenzione per la cultura del movimento, è scarsa».
LEZIONE SERBA Ma da chi prendere esempio? I numeri di Mondiali ed Europei, rispondono: dalla Serbia, con il suo ottavo di abitanti dell’Italia. Prima all’Europeo femminile di volley e terza in quello maschile, seconda all’Europeo di basket fra gli uomini e terza al Mondiale di pallanuoto, qualificata da prima nel calcio a Russia 2018. Magari un viaggio a Belgrado...
CI SI OCCUPA SEMPRE MENO DI FORMAZIONE DEL GIOCATORE VALERIO BIANCHINI ALLENATORE DI BASKET