ADDIO A RAZOV, UOMO VOLANTE MA ANCHE GRANDE SCALATORE
Per coloro che abitano le valli nepalesi ai piedi dell’Everest, l’Ama Dablam è una montagna sacra. Proprio questo è il titolo del mio secondo film, che sto completando in questi giorni. Proprio su quella bellissima montagna di 6812 metri nei giorni scorsi è morto Valery Rozov. Gli anziani sherpa avranno certamente una loro «spiegazione» per questa tragedia, anche se è strano pensare a una vendetta degli dei contro una sola persona mentre anche il sacro Ama Dablam è preso d’assalto da sempre più numerosi «turisti d’alta quota».
Rozov era il più famoso e il più forte fra gli specialisti dei salti in base jumping con la tuta alare. Indipendentemente da come sono andate le cose in questa occasione, penso che l’incidente che è costato la vita al 52enne russo confermi che è difficile, se non impossibile, tenere sotto controllo ogni variabile in questa disciplina che non mi interessa. Rozov però era prima di tutto un buon alpinista, formatosi alla scuola sovietica. Era famoso per i suoi salti record prima da 7220 m sul Changtse, vetta Nord del massiccio dell’Everest, e poi da 7700 m sul Cho Oyu. Ma, prima di praticare la disciplina che ora lo affascinava, era stato capace di scalare in ogni continente. Aveva anche pensato alle Seven Summit, la raccolta delle montagne più alte di ogni continente. Ma poi i salti con tuta alare erano diventati obiettivo primario. Tuttavia, unendo le due passioni, aveva continuato a scalare per effettuare i salti dalle montagne più belle e difficili, come l’Ulvetanna, in Antartide, l’Huascaran, nelle Ande peruviane, e la Torre Centrale del Paine, in Patagonia, lo Shivling, in Himalaya, l’Amin Brakk in Karakorum, e il Kibo, vetta del Kilimanjaro, in Africa.