La Gazzetta dello Sport

Segreti Semplici «Spal, la salvezza in... biblioteca»

IL TECNICO SI RACCONTA: «VADO SPESSO A STUDIARE A COVERCIANO, OGNI COSA PUÒ DARTI UNO SPUNTO TATTICO. TRATTO I GIOCATORI DA FRATELLO MAGGIORE»

- di G.B. OLIVERO INVIATO A FERRARA

AFerrara vanno tutti in bici e Leonardo Semplici capì il primo giorno, nel dicembre 2014, che questo era il posto giusto per pedalare. Non si è più fermato e adesso va in giro per i campi della Serie A con la soddisfazi­one di chi ha restituito a una città l’orgoglio di tifare per la sua squadra. A metà pomeriggio, nel centro sportivo del club, i bambini sfilano orgogliosi col borsone della Spal: «Buonasera mister». Leonardo Semplici li osserva, risponde al saluto e sorride: «E’ bello che possano allenarsi vicino a noi, che maturino il senso di appartenen­za. Ma se qualcuno passa di qua senza salutare, intervengo subito: l’educazione è la prima cosa». Entrare nel mondo di Semplici è una boccata d’aria pura: ha vinto tutti i campionati dall’Eccellenza alla B, ma «ancora oggi non mi sento un allenatore». La sua bici è griffata Spal («Me la regalò il presidente anni fa, dopo otto vittorie di fila»), il suo cuore è viola («Antognoni era il mio idolo, andavo in curva con gli amici»), la prossima partita è contro la Fiorentina: una buona occasione per raccontars­i. Semplici, dove ha fatto rimbalzare il pallone la prima volta? «Nel giardino davanti a casa, a Firenze: avevo una grande passione. Ero un centrocamp­ista centrale e poi a 27 anni mi spostarono in difesa. Un giorno a San Gimignano ci fu un problema con il mio tesseramen­to e allora il presidente mi disse: “Visto che tutti dicono che sei l’allenatore in campo, comincia a farlo in panchina”. Fu l’inizio, ma eravamo in Eccellenza e continuavo a lavorare con mio padre. Quando con il Figline siamo arrivati in C, ho provato a vedere se riuscivo davvero a fare l’allenatore». Alla Fiorentina ci è arrivato, anche se finora solo in Primavera. «Un’esperienza straordina­ria, che mi ha dato modo di sviluppare un altro tipo di calcio, più offensivo». Domenica a Ferrara arrivano proprio i viola. Sarà più emozionato rispetto a quando è entrato a San Siro o allo Stadium? «Sarà bello, ma l’emozione più forte la proverò al ritorno, al Franchi. Però io non guardo molto in là. Vivo nel presente e me lo godo, se ripenso alla mia storia è giusto che sia così». Lei nacque mentre la Spal preparava l’ultimo campionato di Serie A, prima di questo. «Hanno aspettato che diventassi uomo… La storia della Spal va onorata: la squadra era finita troppo in basso, adesso abbiamo risvegliat­o un popolo che dormiva. La società è seria, si fa un passo alla volta ma con le idee chiare. La salvezza sarebbe quasi miracolosa, ma ci proviamo con grande convinzion­e». L’impression­e è che nelle ultime settimane abbiate capito meglio la Serie A. E’ cambiato qualcosa a livello tattico e mentale? «Sì, cerchiamo di essere più concreti. La partenza lenta è stata colpa mia: ho cercato di riprodurre lo stesso gioco della B, partendo da dietro. Non abbiamo mai demeritato, ma abbiamo perso spesso. E allora ho cambiato qualcosa, se bisogna buttare la palla in tribuna lo facciamo, siamo pronti a leggere i diversi momenti della gara. Non perdiamo la nostra identità, ma abbiamo riscoperto alcune certezze anche battendo strade diverse. E se serve passiamo dalla difesa a tre a quella a quattro e cambiamo modulo durante la stessa partita». Borriello, Paloschi, Floccari e Antenucci: questo potenziale di gol è il vostro valore aggiunto? «Deve diventarlo. Il prossimo step sarà il maggior sfruttamen­to delle punte. Nelle ultime settimane ho scelto attaccanti che potessero aiutarci nella nostra metà campo, presto però verrà il momento di Borriello». Quali principi sono tassativi?

«Mi piace fare la partita da dietro con palleggio, possesso, pochi lanci, gioco corto». Che rapporto ha con i giocatori?

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