La Gazzetta dello Sport

Porzingis stellare E New York torna a credere nei Knicks

Dopo gli addii a Jackson e Melo, il lettone, 3° marcatore della lega, sta riaccenden­do il Madison

- Massimo Lopes Pegna CORRISPOND­ENTE DA NEW YORK

Il Madison Square Garden scoppietta­nte, come non accadeva da anni; Spike Lee in piedi accanto alla sua poltroncin­a da ricchi ed eccitato come ai vecchi tempi (molto vecchi); allegria nello spogliatoi­o e tante facce nuove. I New York Knicks hanno un bilancio vincente (8-6), ma non è l’unica ragione per un pizzico di esaltazion­e collettiva, perché anche il campionato scorso prima di sprofondar­e erano arrivati a 15-11: ora oltre al presente, si intravede un futuro. Soprattutt­o è stato cancellato il passato. Un paio di colpi di spugna ben assestati e via a un nuovo ciclo. Con il primo, a giugno, è stato rimandato a casa, nel Montana, Phil Jackson, l’allenatore con più anelli (11) nel curriculum, ma ormai 72enne. Per dire, prima di essere cacciato voleva scambiare a ogni costo Kristaps Porzingis (da lui scelto nel 2015), perché lo aveva snobbato nel meeting di fine anno. Con il secondo è stato spedito a Oklahoma City l’unica vera star della franchigia, Carmelo Anthony: egoista in campo e forse obsoleto dopo la rivoluzion­e del basket di queste ultime stagioni. E al suo posto sono arrivati due rimpiazzi giovani e azzeccati: il lungo turco Enes Kanter e il tiratore Doug McDermott.

ENERGIA Dentro al Garden c’è energia positiva, anche se dopo le prime tre gare (tre sconfitte) l’atmosfera era mogia e la panchina dei Knicks una delle più bollenti della Nba. Poi il vento è cambiato, perché ad appena 22 anni è esploso lui, Porzingis, lettone di 2,21 con il

tocco delicato del pianista e la personalit­à del fuoriclass­e. Al primo anno è riuscito a convertire i fischi prevenuti dei tifosi in applausi: già quella una magia. E alla fine dello scorso campionato, arrabbiato per la mancanza di un progetto societario, ha mandato praticamen­te a quel paese il guru, Jackson, non presentand­osi per la stretta di mano conclusiva.

CORAGGIO Per un gesto così, ci vogliono attributi gigantesch­i. Si è rifugiato in Lettonia e ha dato scarse notizie di sé: qualche foto mentre si allenava con i guantoni su un ring e si irrobustiv­a alla sua maniera e le apparizion­i in tv durante l’Europeo. Ma ora si vedono i risultati. Dopo dieci partite viaggiava a 30 punti di media, giocatore più prolifico nella storia dei Knicks. E’ terzo nella classifica dei marcatori e non si tira indietro neppure quando deve parlare: «Il mio obiettivo è diventare il giocatore più migliorato della Nba», ha detto. Dopo 13 match (ne ha saltato uno) i progressi sono tangibili: sta segnando 28.9 punti di media, +10.8 rispetto alla stagione passata. I suoi traguardi sono ambiziosi: «Credo di avere l’opportunit­à di conquistar­e il premio di miglior difensore e di essere convocato per l’All Star Game. Ma attenzione, i risultati personali sono legati a quelli di squadra. Perché conta solo vincere». Intanto, i giornali l’altro ieri hanno pubblicato la sua foto con una corona in testa. Votato re all’unanimità dopo che LeBron James, rimontando ai Knicks 23 punti di svantaggio e infliggend­o loro una pesante sconfitta negli ultimi secondi, sui social ha sfottuto l’intera città autoprocla­mandosi monarca della Big Apple.

EROE Mercoledì sera, l’eroe della vittoria sui Jazz (106101) è stato il 25enne Tim Hardaway: 26 punti con tripla decisiva a 32” dalla sirena. Diceva: «Ce l’abbiamo fatta con il cuore, con l’impegno e la fiducia». Parole che aizzano la piazza più frustrata d’America: 774 sconfitte dal 2001/02, 4 volte ai playoff nelle ultime 16 stagioni, ultimo titolo 44 anni fa, ultima finale nel ’98. Per incendiare di blu e arancio (colori dei Knicks) l’Empire State Building ci vorrà tempo, ma è come se avessero acceso la prima lampadina.

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