Avanza Goffin E’ la rivincita dell’uomo normale
Leggero e senza un fisico eccezionale, il belga è l’antitesi del tennis tutta potenza di oggi
Allora un altro mondo è possibile. Tra supermen muscolari, bombardieri e cannonieri che allungano prepotentemente i loro tentacoli sul tennis del presente (Federer permettendo), David Goffin è l’eccezione che conforta l’uomo qualunque, la normalità che si appropria di un ragazzo umile e intelligente e ne fa l’antagonista dei marcantoni che tirano a 200 all’ora. Le sue misure, all’apparenza, sono stridenti rispetto alla fisicità che richiede il gioco odierno, 1.80 per 68 chili, il più leggero top ten dai tempi di Gilles Simon.
RISCATTO Eppure, disegnando gli angoli del campo con il suo stupendo rovescio bimane, affidandosi a gambe di caucciù e sfruttando le eccellenti doti di anticipo, cioè le armi che da sempre oppone a chi è più grosso e potente di lui, David si è preso l’ultimo posto per le semifinali del Masters, stoppando l’eterno incompiuto Thiem nello scontro diretto. Figlio di un maestro di tennis di Liegi e quindi nato in pratica con la racchetta in mano, Goffin a Londra (dove l’anno scorso debuttò da riserva, perdendo un match ininfluente con Djokovic) era già diventato lunedì il primo giocatore di sempre del suo paese a battere un numero uno del mondo (l’acciaccato Nadal di questi tempi), dopo esserne stato il primo a raggiungere la top ten a febbraio. Il riscatto dopo una stagione interrotta il 2 giugno al Roland Garros da un infortunio incredibile nella genesi ma insidiosissimo nelle conseguenze, una scivolata sui teloni che servono a coprire i campi con distorsione della caviglia destra, piegatasi in modo innaturale. Prima, c’erano state due finali perse, a Sofia e a Rotterdam, corredate dalla gaffe in Olanda durante la premiazione, quando ancora stremato per la fatica ha ringraziato le fidanzate al suo angolo, creando un po’ di imbarazzo nell’unica che invece frequenta; e ancora l’episodio della palla contestata nella semifinale di Montecarlo, una chiamata errata del giudice di sedia che in pratica lo ha fatto uscire da un match che stava conducendo alla pari contro il più forte interprete della storia sulla terra.
NIENTE DA PERDERE
Ma da formichina operosa e laboriosa, con serietà e determinazione, l’attuale numero 8 del mondo è passato oltre la malasorte e nella campagna asiatica di ottobre ha infilato i successi consecutivi di Shenzen e Tokyo, tornando a vincere un torneo dopo tre anni e scacciando finalmente la fama di bravo eppur perdente. Quei trionfi sono stati la spinta verso la qualificazione alle Finals, dove non si è preoccupato, come immaginava qualche malpensante, dell’incombente finale di Davis contro la Francia (settimana prossima, in trasferta), la seconda occasione per diventare un eroe immortale in Belgio dopo la sconfitta contro la Gran Bretagna di Murray del 2015. Solo che adesso gli tocca Federer (che è 15-0 nei precedenti con gli altri semifinalisti), l’idolo dell’adolescenza, dei cui poster aveva tappezzato la cameretta e che incrociò la prima volta nel 2012 al Roland Garros, quando da lucky loser si issò fino agli ottavi e Roger gli concesse alla fine di tenere la conferenza stampa congiunta in campo. David fu sconfitto allora e poi è stato sconfitto sempre, sei volte, l’ultima a Basilea tre settimane fa, con appena tre game ottenuti: «Ma non avrò nulla da perdere, come sempre. Anche se fin qui non ho mai trovato la chiave per batterlo. Sinceramente, non so cosa mi inventerò questa volta, magari proverò qualcosa di diverso, ma lui è un giocatore speciale e sta benissimo». Le preoccupazioni di un uomo normale.