ORE 20.45: NAPOLI-MILAN
La capolista e Montella: esami al San Paolo Bianchi: «Sarri è favorito» Sacchi: «Colpaccio, si può»
BIANCHIN, LONGHI, MALFITANO, PASOTTO, SCHIANCHI
Ha giocato con Sivori e Rivera, ha allenato Maradona. Bastano (e avanzano) tre nomi per immaginare cosa rappresenti Napoli-Milan per Ottavio Bianchi.
Che partita sarà?
«La sfida tra una squadra che ha un gioco spumeggiante e ha imparato a coprirsi e una ancora in costruzione».
Napoli maturo per lo scudetto?
«Sì, ora sa di essere forte, sa come gestire le energie nel miglior modo possibile. Da giocatore, avevo capito una cosa: che a Napoli non c’era equilibrio, proprio perché non si era abituati a vincere. Ci si esaltava dopo una vittoria contro una grande, subito dopo si perdeva contro una piccola. E scoppiavano interminabili polemiche. C’è voluto tempo per cambiare la mentalità».
Insigne vorrà dimostrare che Ventura ha sbagliato a tenerlo fuori…
«Ma guardate che non ha nessuna rivincita da prendersi: il Napoli ha un’identità ben precisa, gioca a memoria e lui ha un ruolo chiave negli schemi di Sarri».
L’avrebbe fatto giocare a San Siro con la Svezia?
«Ancora adesso sto dalla parte degli allenatori e non mi permetto di giudicare. Dico soltanto che io non rinunciavo mai a uno di talento».
Per lei solo due presenze in Nazionale, nel 1966 subito dopo il crollo con la Corea…
«Clima pesante, ma la situazione non era paragonabile a quella attuale. Con la Svezia è stata una disfatta epocale perché tutto il sistema è da rifondare».
Bianchi centrocampista del Napoli.
«Ricordo Sivori: tecnica fuori dalla norma, dava spettacolo a cominciare dai calzettoni abbassati. Una star».
Come Maradona?
«Non si fanno paragoni, non è giusto per loro e per la squadra. Un fuoriclasse è figlio del suo tempo, dà significato a epoche diverse. È fuori classifica, lo dice la parola stessa».
Bianchi centrocampista del Milan.
«Ricordo un anno travagliato (era il 1973-74, ndr) anche per questioni societarie e Rivera sotto tono. Mai come me: praticamente giocavo senza ginocchia dopo la rottura dei legamenti a 17 e 27 anni. E poi rimpiango di aver conosciuto Rocco per pochi mesi: un maestro di simpatia. Come Pesaola».
Primo maggio 1988: il Milan di Sacchi sorpassa il Napoli di Bianchi e vola verso lo scudetto. Partita simbolo: un allenatore della vecchia scuola contro un rivoluzionario, Sud contro Nord, Ferlaino contro Berlusconi, Van Basten contro Maradona…
«Tutto vero, ma non dimentichiamoci che l’anno prima noi avevamo vinto lo scudetto. Quello è stato un momento storico, poi è venuto il resto».
Le polemiche, il toto nero, la camorra che vi avrebbe costretto a perdere col Milan...
«La dietrologia è irritante e lascia il tempo che trova. Sono un uomo di campo e do merito agli avversari quando vincono, noi eravamo arrivati a quella partita con diversi giocatori in difficoltà dal punto di vista fisico».
Napoli 30 anni dopo: analogie?
«L’ho detto, oggi la squadra ha la consapevolezza di poter vincere qualcosa di importante dopo tante stagioni ad alto livello. Ricordo che 3 anni prima dello scudetto, il Napoli aveva lottato per non retrocedere».
Montella ha stabilizzato la panchina.
«In Italia va così: si vuole vincere subito. All’inizio era considerato l’uomo nuovo, poi è stato messo in discussione appena sono mancati i risultati. Bisogna avere un po’ di misura».
Berlusconi ha detto che la campagna acquisti è stata sbagliata.
«Un gruppo non può diventare competitivo solo perché è stato speso tanto, e per fortuna aggiungo io. I nuovi vanno seguiti e aspettati, perché devono abituarsi a un calcio differente e qualcuno ha reso meno del previsto. D’accordo stravolgere tutto, ma poi comincia il difficile: il lavoro sul campo. Come detto, il Milan è in costruzione ma in prospettiva è la squadra con gli italiani più interessanti: Donnarumma, Locatelli e gli altri».
Napoli favorito?
«In teoria sì, ma il calcio mi ha insegnato che non c’è niente di scontato».