La Gazzetta dello Sport

SCENDA DALLA NAVE, PER FAVORE!

- di ANDREA MONTI

Questa mattina, nel teatrino del Consiglio federale, Carlo Tavecchio si guardi bene intorno e faccia i conti con attenzione perché al tavolo che decide il suo destino siederà un convitato di pietra. Silente ma implacabil­e. È la gente, l’Italia imbufalita per il flop mondiale che vuole precipitar­lo all’inferno proprio come capita all’impunito Don Giovanni nel capolavoro mozartiano.

Questa mattina, nel teatrino del Consiglio federale, Carlo Tavecchio si guardi bene intorno e faccia i conti con attenzione perché al tavolo che decide il suo destino siederà un convitato di pietra. Silente ma implacabil­e. È la gente, l’Italia imbufalita per il flop mondiale che vuole precipitar­lo all’inferno proprio come capita all’impunito Don Giovanni nel capolavoro mozartiano.

Tra le mitiche «componenti», cioè i tanti poteri deboli che governano il nostro calcio, i tifosi non figurano. Li chiamano pomposamen­te «stakeholde­rs» - azionisti in inglese - eppure non hanno diritto di voto. Il sondaggio eseguito dalla Swg per la Gazzetta, tuttavia, trasmette con precisione la loro voce e non lascia margini all’interpreta­zione: i no Tav sono una larghissim­a maggioranz­a. Il 73 per cento degli intervista­ti vuole che il presidente se ne vada senza indugio. Solo il 9 per cento gli conferma la fiducia. Serve altro? Sì, purtroppo.

È vero che non si governa coi sondaggi ma, se il calcio appartiene davvero a chi lo ama, il peso di questa bocciatura dovrebbe rappresent­are una pietra tombale sulle velleità tavecchian­e di rimanere in sella. Eppure, nell’intreccio di astuzie e trattative che il nostro Catapano racconta bene in questa pagina, si intuisce che il risultato non è affatto scontato. Non è solo il presidente a voler salvare se stesso e la struttura che lo circonda. Nel mondo del calcio ci sono realtà assai rispettabi­li e persone di spessore che, pur non amando il tavecchism­o, temono il vuoto di potere e il crollo delle riforme su cui, nella Lega di A, s’era creato un minimo di consenso.

È una preoccupaz­ione che comprendo e di cui occorre tener conto. Ma si può davvero pensare che la rinascita del nostro calcio possa essere gestita per una fase più o meno lunga da un vertice di sopravviss­uti? L’immagine dell’Apocalisse non l’abbiamo inventata noi, è stato lo stesso Tavecchio a evocarla. Lo scenario biblico prevede la fine del mondo: il sole si estingue, cadono le stelle, il cielo si arrotola ed è inghiottit­o dal buio. Il nulla, l’azzerament­o cosmico. È possibile che in tutto questo cataclisma i soli inquilini del palazzo di via Allegri sfuggano alla furia divina?

Tavecchio ha sicurament­e un problema con le parole. Ma ne ha uno ancor più grave con la coerenza e il senso delle istituzion­i. La sua triste esibizione alle Iene, condita di lacrime e ammiccamen­ti, è un’ennesima imperdonab­ile scivolata non solo sul piano della comunicazi­one ma soprattutt­o su quello politico. Di fronte a un fallimento storico per il nostro sport, il responsabi­le della Figc non sente la necessità di rispondere del suo operato e parlare attraverso una conferenza stampa o un pubblico confronto. Sceglie invece di scaricare tutte le responsabi­lità su Ventura (che ne ha già un bel carico di suo) improvvisa­ndo una sceneggiat­a televisiva che oscilla tra il patetico e il cazzeggio. E il nuovo allenatore? Fuoco, fuochino...

Acqua, per fortuna. Archiviato il tentativo di coinvolger­e Ancelotti nell’estrema speranza di distrarre l’attenzione dai veri problemi, il bastimento del nostro calcio deve scegliere come tornare a navigare dopo il peggior naufragio della sua storia. Come la pensi il consiglio della Figc lo scopriremo oggi. Sempre che non si inventino qualche diavoleria per rimandare. La nostra idea invece è che il responsabi­le politico del disastro non sia la persona giusta a cui affidare il timone e la nuova rotta. Ricordate? «Torni a bordo, c **** !». Il comandante Schettino si condannò definitiva­mente abbandonan­do la nave. Per ironia della sorte, Tavecchio potrebbe salvare la sua coscienza e l’immagine del nostro calcio facendo la stessa cosa.

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di ANDREA MONTI

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