La Gazzetta dello Sport

TECNICA E GIOVANI E’ TUTTO DA RIFARE

- di FRANCO ARTURI email: farturi@gazzetta.it twitter: @arturifra

n riferiment­o all’argomento sollevato da Franco Arturi in risposta al signor Pepe, circa il prevalere della fisicità sulla tecnica negli sport di squadra italiani, penso che non sia solo un nostro problema. Vedo infatti nel campionato di basket di serie A, dove militano moltissimi stranieri di diverse provenienz­e, un medesimo generalizz­ato abbassamen­to del livello dei fondamenta­li del gioco. Nel basket in particolar­e registriam­o due importanti cambiament­i. Il primo è l’accrescime­nto delle dimensioni e delle masse muscolari degli atleti. Il secondo è la velocizzaz­ione del gioco. A fronte di queste mutazioni, gli spazi del campo sono rimasti gli stessi. Ora vediamo giganti superveloc­i ed esplosivi, muoversi in un ristretto ambito spaziale, nel teorico rispetto del «No contact game», sotto la spada di Damocle dei secondi che scorrono veloci, mentre scemano visibilmen­te le capacità tecniche dei protagonis­ti.

E’ paradossal­e che aumentando la forza e la velocità diminuisca la tecnica: dovrebbe essere l’opposto. Recitava un vecchio slogan pubblicita­rio: «La potenza senza il controllo è niente». Queste ovvie consideraz­ioni necessitan­o di una grande riforma di tutto ciò che sta sotto il campionato profession­istico. A cominciare dalle squadre giovanili dove i migliori prospetti giocano in due, tre campionati diversi, sacrifican­do il tempo del lavoro individual­e e facendo uno sterile zapping di diversi allenatori senza alla fine imparare nulla di continuati­vo. Per proseguire con la riforma dei campionati dilettanti che scimmiotta­no quello maggiore senza avere un obbiettivo specifico di crescita e di formazione dei giocatori. Ma per le riforme ci vuole coraggio e, come si sa, chi non ce l’ha non se lo può dare.

Valerio Bianchini (Roma) Tecnica e atletismo nel calcio: riprendo la sua sollecitaz­ione. Esistono due versioni di istruttori giovanili, la funzionali­sta e la cognitivis­ta e cioè, semplifica­ndo, chi lavora sulla ripetitivi­tà del gesto e chi invece (pochi) lavora sulla mente. Fino a 10-11 anni la tecnica e i fondamenta­li dovrebbero essere un mezzo per educare senso, percezioni, schemi motori e le famose capacità motorie (condiziona­li e coordinati­ve) e non un fine. Prima va preparato l’humus su cui successiva­mente far crescere la tecnica e tutto questo condito sempre da rilevanti aspetti cognitivi (situazioni). Dagli 11-12 anni in poi si dovrebbe iniziare a lavorare sugli aspetti tecnici senza mai, però, perdere di vista l’allenament­o cognitivo (la famosa testa) che a lungo andare farà la differenza. Purtroppo nei nostri settori giovanili se si chiede agli istruttori a quale modello si ispirano e cosa fanno per allenare la mente pochi sanno rispondere. Dubito anche che la mente venga allenata nelle squadre senior. Eppure i neuroni sono come i muscoli e se io non li alleno si atrofizzan­o. E poi ci chiediamo perché certi Paesi, sempre battuti da noi in passato, ora ci mettono sotto. Un istruttore spagnolo, poco tempo fa, mi disse: «Niños siempre mucha cabeza». Il senso è chiaro.

Cesarino Squassabia

Avevo avanzato un’ipotesi di lavoro estrema nell’ultima puntata di Porto Franco: la crisi degli sport di squadra italiani ha una matrice comune nella svalutazio­ne della tecnica a vantaggio dell’atletismo. Ho invitato lettori e addetti ai lavori ad aprire un dibattito sull’argomento. Il primo contributo, lo dico per i pochi che non lo sapessero, viene da uno dei più grandi tecnici italiani di ogni tempo, coscienza critico-culturale del basket. Anche il secondo fa pensare che c’è molto da modificare nei nostri modelli tecnico-formativi. Mi piacerebbe che la discussion­e continuass­e, prima di tentare qualche conclusion­e.

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