NAPOLI VOLA E IL SUD HA UN NUOVO DIAMANTE
IL 6 DICEMBRE APRE LO STADIO DEL SOLE CHE POI DIVENTERÀ SAN PAOLO. E GLI AZZURRI RIBALTANO IL POTERE DEL NORD
Aguardarlo dal cielo, in quel lontano dicembre del 1959, lo Stadio del Sole pareva un enorme diamante che si allungava verso il mare di Posillipo per sentirne il profumo e percepirne l’immensità. E proprio il desiderio di grandezza fu il motore che spinse a progettare quell’astronave: un regalo per Napoli, un segno di riscatto per il sud, una voce urlata in faccia al potente capitalismo del nord. Il Comandante Achille Lauro, che dell’operazione fu l’autentico architetto, sorvegliava con orgoglio la creatura che tanto aveva voluto e, adesso, seguiva la folla che vi entrava con l’occhio attento e calcolatore del politico navigato: tutte quelle persone erano voti guadagnati, secondo la vecchia regola del «panem et circenses». E se di «panem» ce n’era poco, nonostante si fosse in pieno boom economico, che ci fossero perlomeno i «circenses»... Il calcio, nell’idea politica del Comandante, era uno strumento di persuasione e come tale, fino a che se ne occupò, lo tenne in considerazione: dai roboanti acquisti di mercato (Jeppson su tutti) da dare in pasto alla gente alla costruzione dello stadio.
SUD CONTRO NORD Era la domenica dell’inaugurazione, 6 dicembre 1959. La zona di Fuorigrotta, dove l’immenso diamante era incastonato, era stracolma di gente. Poco importava che il Napoli non fosse ai primi posti della classifica: l’emozione, quel giorno, era entrare in quello stadio, che significava fare un passo nel futuro. L’avversaria era la Juventus, e pure in questo incrocio c’erano motivi di rivalsa: si duellava contro la squadra della famiglia Agnelli, il dottor Umberto ne era il presidente, l’allegria del meridione contro le cupe ciminiere delle fabbriche di Torino. E, per i calciofili più accaniti, era il tandem Vinicio-Pesaola di fronte al trio delle meraviglie Boniperti-Charles-Sivori. A logica, non c’era partita: ovviamente a favore dei bianconeri. Guidati in panchina da Carlo Parola e Renato Cesarini, comandavano la classifica dall’inizio del torneo e giocavano benissimo. L’allenatore del Napoli era Amedeo Amadei, che aveva sostituito Annibale Frossi, e in quei giorni lo tormentava un problema: Luis Vinicio, il brasiliano che faceva impazzire Napoli, non era in forma, aveva preoccupazioni familiari e non rendeva come avrebbe dovuto. Nelle settimane precedenti il pubblico si era schierato dalla parte del campione. Era apparso uno striscione: «Vendete il Vesuvio, ma non Vinicio!». Un atto d’amore di cui si doveva tenere conto. E difatti Amadei, prima della sfida contro la Juve, gli consegnò la maglia numero 9 e gli disse: «Guarda quella gente, là fuori, e gioca per loro». «Mi affacciai sul campo - racconta oggi Vinicio - e mi venne a mancare il fiato. Ottantamila persone, mai visto un pubblico simile. Come si poteva tradire quel popolo? Però c’era da battere la Giuve (la chiama proprio così, Giuve e non Juve, ndr), mica semplice».
DIFESA E CONTROPIEDE Amadei stese il piano e lo spiegò alla squadra. Marcature dure, a tutto campo, sui fenomeni juventini. Quindi: Greco su Charles, Mistone su Boniperti e Posio su Sivori. «Anticipare e ripartire!» ordinò Amadei. E i suoi, spinti dagli incitamenti del pubblico, eseguirono il compito alla perfezione. «Dopo pochi minuti eravamo già in vantaggio - ricorda Vinicio -. Segnò Vitali di testa. E poi continuammo a martellarli e non farli giocare. Li braccavamo in ogni zona del campo. Mistone fermò Boniperti, che tentava di andar via in dribbling, e si lanciò in una fuga sulla fascia che fece impazzire la gente. Fu davvero un pomeriggio incredibile: era il nostro modo di celebrare l’inaugurazione dello stadio». Nel secondo tempo, la ciliegina. «Mi arriva una palla sporca, non so come colpirla e allora mi avvito e faccio una mezza rovesciata. Gol. Non ci credevo nemmeno io. Corsero tutti ad abbracciarmi, fu una festa magnifica» spiega ancora Vinicio. Alla Juve, anzi alla Giuve, restò la consolazione di un golletto su rigore (trasformato da Cervato) proprio al tramonto della partita. Finì 2-1 per il Napoli e per la gente fu come aver vinto il campionato del mondo.
ORGOGLIO Nella strade attorno allo stadio si scatenarono i tifosi: ballavano, cantavano, correvano, posseduti da una gioia che mai prima avevano conosciuto. C’era, in quelle manifestazioni di allegria, l’orgoglio per aver battezzato degnamente la nuova casa (che più tardi prese il nome di Stadio San Paolo) e la soddisfazione per aver dimostrato che anche il Napoli poteva giocarsela (e vincere) contro le grandi del nord. «Eravamo una squadra da metà classifica - confessa Vinicio - E a fine campionato riuscimmo a salvarci: ci andò bene. Però che bello, quel giorno, vedere Boniperti, Sivori e Charles uscire a testa bassa dal campo, dal nostro campo». La Juve vinse quello scudetto, e lo fece da autentica regina: 92 gol realizzati, Sivori capocannoniere e soltanto quattro sconfitte (contro Atalanta, Fiorentina, Bologna e, appunto, Napoli). Ma quella domenica, allo Stadio del Sole, per i bianconeri ci furono soltanto nuvole.