La Gazzetta dello Sport

Contador «Ho chiuso come sognavo Il Giro resta la corsa più bella»

Il ciclista spagnolo, che si è ritirato dopo l’ultima Vuelta, premiato per la carriera sempre all’attacco: «Non conta solo vincere, ma anche come lo si fa»

- Andrea Berton MILANO

Da ieri sera Alberto Contador è anche formalment­e una leggenda, titolo che il popolo del ciclismo gli aveva conferito idealmente da tempo e di cui la Gazzetta lo ha insignito nel Gala degli Sports Awards. Una vita tutta all’attacco quella dello spagnolo, sempre sui pedali, alla ricerca non solo di traguardi e record, ma anche di spettacolo, che nel ciclismo moderno pochi sanno regalare. «Ringrazio la Gazzetta per questo premio che mi onora — il commento del campione madrileno — perché viene da un giornale che ha raccontato le mie vittorie, le mie sconfitte, e ha permesso agli appassiona­ti di seguirmi ed emozionars­i per tanti anni».

CAMPEON Due Giri d’Italia, due Tour de France, tre Vuelta a España ne fanno il più forte corridore da gare a tappe della sua generazion­e, tra i più grandi di sempre. La sua ultima vittoria, il 9 settembre sull’Alto de l’Angliru, è stata una sorta di testamento per Alberto, che per tre settimane aveva cercato un modo di congedarsi degno della sua statura, senza tuttavia trovare il guizzo vincente. Fino a quel pomeriggio di tre mesi fa, sulle rampe micidiali della più dura salita di Spagna, dove El Pistolero ha sparato l’ultimo colpo e centrato l’ultimo bersaglio rimasto alla maniera dei grandi, in un giorno senza domani. Gli occhi tornano lucidi anche oggi quando ripensa a quella tappa. «Un giorno indimentic­abile. Scesi dal bus e mi dissi che era la mia ultima possibilit­à: dovevo vincere. Esserci riuscito è incredibil­e. Una vittoria che vale più di altre mie più celebrate perché mi è riuscito di chiudere come volevo. E perché credo che, oltre ai successi, conti anche come si ottengono».

NUOVO CICLISMO «Lascio un ciclismo troppo tecnologic­o» ha detto più volte dopo il ritiro. «Io vieterei l’uso dei misuratori di potenza in gara, strumento utile per allenarsi, ma che in corsa può condiziona­re i corridori, inducendol­i a non superare certe soglie» spiega. Non è favorevole alla probabile messa al bando delle comunicazi­oni radio in corsa: «Le radio — dice — sono fondamenta­li per la sicurezza. Piuttosto introdurre­i un tetto salariale per le squadre, per impedire a delle vere e proprie corazzate di addormenta­re il Giro o il Tour» replica il fuoriclass­e di Pinto.

AMATO GIRO A lui, nel 2008, riuscì la doppietta Giro-Vuelta, mentre Froome nel 2018 andrà alla caccia dell’accoppiata più nobile GiroTour. «Penso che Chris ce la possa fare, il percorso del Giro gli si addice. A parte lo Zoncolan, sono tutte salite adatte a lui e con l’aiuto di una squadra forte potrà evitare di spremersi, conservand­o energie per il Tour. Quale corsa mi sarebbe piaciuto disputare? Il Giro che parte da Israele e ha 9 arrivi in salita. E poi ho sempre detto e lo ripeto: per me il Giro è la corsa più bella che c’è». Il ciclismo non gli manca. «Ho sempre continuato ad allenarmi» racconta Alberto, che oggi segue con Ivan Basso la sua squadra di giovani PolartecKo­meta e si occupa della fondazione che porta il suo nome. «Non è salutare smettere del tutto, anche se negli ultimi giorni con l’operazione alla mano (per una lesione che aveva da un anno al tendine del polso destro, ndr) e i molti viaggi non mi è stato possibile farlo. Ma di sicuro c’è una cosa che non mi manca, ovvero allenarmi anche con il freddo e la pioggia che avrei trovato in questi giorni». Sul palco ha speso infine qualche parola per Michele Scarponi: «Una persona speciale, non è un caso che tutti lo ricordino e ne parlino con affetto».

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