La Gazzetta dello Sport

LA LEZIONE DEI CAMPIONI

- di ANDREA MONTI

Gigi Buffon è un uomo che sa piangere. Ha vinto e sorriso tantissimo, più di molti altri giocatori italiani, ma quando la sconfitta scava il fosso tra i molti che fuggono e i pochi che hanno il coraggio di restare, lui guarda caso è sempre lì. A metterci la faccia. Con la dolorosa consapevol­ezza di chi avrebbe voluto fare di più per la squadra, per i tifosi, per i suoi colori. E’ successo anche la sera in cui la Svezia ci ha buttato fuori dal Mondiale, e le sue scuse da ultimo samurai all’Italia sgomenta hanno fatto il giro del mondo.

Gigi Buffon è un uomo che sa piangere. Ha vinto e sorriso tantissimo, più di molti altri giocatori italiani, ma quando la sconfitta scava il fosso tra i molti che fuggono e i pochi che hanno il coraggio di restare, lui guarda caso è sempre lì. A metterci la faccia. Con la dolorosa consapevol­ezza di chi avrebbe voluto fare di più per la squadra, per i tifosi, per i suoi colori. E’ successo anche la sera in cui la Svezia ci ha buttato fuori dal Mondiale, e le sue scuse da ultimo samurai all’Italia sgomenta hanno fatto il giro del mondo. Le parate stratosfer­iche, i record, la fama planetaria che gli guadagnano ancor oggi il titolo di miglior portiere del mondo per Fifa e Uefa, e il quarto posto al Pallone d’Oro, sono nulla di fronte a una lacrima che distilla la maturità del fuoriclass­e. In campo e fuori. Buffon ha quarant’anni, e quarant’anni compiono i premi della Gazzetta.

Ieri sera, quando il portierone monumental­e, elegante, con quell’ombra di barba brizzolata e un po’ malandrina, ha ricevuto l’anello per il miglior atleta dell’anno è apparso chiaro che la rosea e i suoi lettori non avrebbero potuto scegliere testimonia­l migliore per la ricorrenza: al di là del tifo e delle appartenen­ze che spesso avvelenano il giudizio, questo è il prototipo dei campioni che cerchiamo. Non l’uomo perfetto, per carità. Ma l’uomo senza aggettivi: coi tempi che corrono, basta e avanza.

Insieme con lui a onorare i nostri Oscar dello Sport, una sfilata di personalit­à altrettant­o robuste. Donna dell’anno è Sofia Goggia, una grinta da far paura: con l’ottimismo della volontà s’è tirata fuori dal pozzo di un brutto incidente che due anni fa sembrò troncarle la carriera e si è issata ai vertici dello sci alpino mondiale. Poi Andrea Agnelli, presidente di successo e manager di ghiaccio salvo sciogliers­i allo stadio in un tifo rovente per la sua Juve dei record, indiscutib­ilmente squadra dell’anno: sei scudetti e tre coppe Italia di fila, due finali di Champions, bilanci solidi e un fatturato da grande europea. Ancora Andrea Dovizioso, forte e coraggioso sino all’ultima curva. E il terzo Andrea, il gallo rampante Belotti, goleador spietato con una bella faccia da ragazzo leale. Matteo Manassero, golfista e gentiluomo capace di darsi una penalità da solo per un’infrazione che nessuno aveva rilevato, caso alquanto raro nel paese dei falsi invalidi. Gian Piero Gasperini, guru della panchina devoto alla Dea, intesa come Atalanta, di cui ha forgiato il miracolo. Le straordina­rie ragazze della Nazionale Femminile Pallavolo Sorde, ennesimo prodotto d’eccellenza del movimento paralimpic­o, argento alla recente Olimpiade per atleti sordi. Insomma, il pantheon del nostro sport nel 2017 ma anche una fotografia della sua rilevanza nella società in cui viviamo.

Come tutte le storie di successo, quella dei Premi Gazzetta è iniziata quasi per gioco: un referendum tra le grandi firme del giornale per riordinare un anno di agonismo, passioni ed emozioni sotto forma di classifich­e. E stabilire chi fosse il campione dei campioni, l’uomo o la donna degni di essere celebrati sulla prima pagina più importante dell’anno, cioè l’ultima. Questo bizzarro torneo virtuale che anticipava l’era di internet mettendo in scena sfide impossibil­i tra calciatori e ciclisti, nuotatori e centometri­sti, è diventato nel tempo un evento importante. Coinvolge nelle votazioni centinaia di migliaia di lettori. E soprattutt­o piace ai campioni, che all’inizio erano premiati con un brindisi in redazione e che oggi si vedono celebrati da un evento in grande stile, condotto quest’anno da Enrico Bertolino e Cristina Fantoni. Grazie all’impegno del presidente Urbano Cairo e degli amici di La7 potrete seguirlo in television­e, sabato sera alle 23.10.

Uno spettacolo impreziosi­to dalla presenza di due leggende che entrano nella nostra Hall of Fame: Francesco Totti, ultimo imperatore di Roma, e Alberto Contador, sovrano del ciclismo e del nostro Giro. Due sport e due caratteri molto diversi, legati dal filo rosa di cui parlava Candido Cannavò proprio celebrando l’esplosione del Pupone all’Europeo del 2000: «Per crescere bisogna affrontare da soli, faccia a faccia, quella belva che si chiama responsabi­lità. Francesco ha fatto per la prima volta in azzurro questa esperienza. Da solo. E senza rete. Ha conquistat­o il verdetto più importante, quello della gente». La stessa gente che si appassiona al Pistolero e ai campioni celebrati ogni giorno dalla Gazzetta. Perché il grande romanzo dello sport — lo insegnava Candido, sempre lui — appartiene soprattutt­o a chi ha passione e voglia di leggerlo.

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