«Alonso a Le Mans si divertirà Quando vinci, ti senti sulla luna»
Un po’ vecchiotto per esordire in F.1 — il 10 novembre ha compiuto 28 anni — ma anche due volte campione del mondo delle corse di durata e soprattutto ultimo vincitore della 24 Ore di Le Mans. Ovvero della gara a cui ambisce Fernando Alonso per iniziare la scalata alla tripla corona che comprende Montecarlo (GP già vinto) e Indy 500 (successo sfiorato lo scorso maggio). È questa l’apparente contraddizione di Brendon Hartley, sangue e passaporto neozelandese, Paese che ha dato molto all’automobilismo sportivo. Bastano tre nomi: Bruce McLaren, pilota e fondatore della celebre scuderia, Denny Hulme, campione del mondo 1967, Chris Amon, tanto sfortunato con le Ferrari in F.1 quanto, come Brendon, di successo con gli Sport Prototipi. «Conoscevo personalmente Chris, è stato triste perderlo un anno fa. Era un faro per tutti noi. I neozelandesi vanno pazzi per l’automobilismo e io godo di un grandissimo sostegno», riconosce il pilota della Toro Rosso, fresco di conferma per il 2018.
Brendon, come si sente ad essere passato da potenziale disoccupato dopo la decisione della Porsche di lasciare il Wec a titolare in F.1?
«Come uno che ha realizzato un sogno. Ho una grande opportunità e nelle ultime gare del 2017 ho dimostrato di meritarmela».
Lei diversi anni fa era una promessa della Red Bull. Poi sparì dalla scena dei GP.
«Debbo sottolineare che Red Bull mi ha consentito di arrivare a correre in Europa quando avevo solo 16 anni e nel 2009 ero vicinissimo a debuttare in F.1. Ma venni sopraffatto dalla pressione, non riuscii ad andar forte. Fu un colpo duro e ci volle un po’ per riprendersi. Però non ho mai interrotto la relazione con la Red Bull, in particolare con Helmut Marko. Hanno continuato a sostenermi economicamente nella mia carriera con la Porsche, avevo il loro marchio su tuta e casco. E così, quando i tedeschi hanno detto stop al programma Wec, è stato naturale offrirmi a chi mi aveva sponsorizzato. Pensavo però a un ruolo di test driver».
E invece...
«Invece la Toro Rosso mi ha gettato nella mischia ad Austin, senza che conoscessi bene la macchina e avessi la benché minima preparazione. Avevo lavorato un po’ al simulatore. La Red Bull ha creduto in me e di questo sono grato».
Difficile adattarsi alla F.1?
«Fuori dalla pista l’approccio è simile, parlo del lavoro di preparazione con il team e gli ingegneri. Pure la macchina ha delle similitudini, in fondo le LMP1 vanno forte anche se non tanto quanto le F.1. Però qui non ci sono aiuti elettronici, il carico aerodinamico è maggiore e le gomme sono completamente differenti».
Lei può spiegare ad Alonso cosa si prova a vincere Le Mans.
«E’ la gara più emozionante che abbia mai disputato. E quando sali sul podio, ti senti davvero sulla luna con tutta quella folla lì sotto. Però lo stress è massimo perché tutto è concentrato in 24 Ore. Basta un piccolo errore per gettare al vento il lavoro di un anno. Se poi sei a Le Mans e difendi i colori della Porsche…Ma Alonso, se ci andrà, si divertirà».
Nei test Fernando ha scoperto la complessità di dover scendere
TORO ROSSO 28 ANNI
a compromessi con altri piloti.
«La F.1 è individualista. I piloti si scambiano i dati ma solo quelli essenziali, nel Wec il lavoro di gruppo è fondamentale, ci sono tre teste pensanti, bisogna scendere a compromessi. Mark Webber e Timo Bernhard, da questo punto di vista, sono stati compagni di squadra eccezionali».
Ci sono due controindicazioni nel suo ingresso in F.1. Il primo è l’età. Qui i deb hanno 18-20 anni.
«Ma io mi sento più maturo e pronto di quando avevo quell’età. L’ho dimostrato in queste gare evitando errori stupidi. Certo poi ci sono le eccezioni come Verstappen».
La seconda è legata allo spauracchio Honda. Il prossimo anno il rischio è di finire pochi GP con quei motori.
«Voglio vedere l’aspetto positivo, il fatto che Toro Rosso sarà servita in esclusiva dai giapponesi. Questa è una grande opportunità».