La Gazzetta dello Sport

AGNELLI SORRIDE PENA GIÀ SCONTATA CHIUSA LA CURVA

Caso biglietti: accolto il ricorso del presidente bianconero, pena ridotta da 12 a meno di 3 mesi. Pesanti multe. Il procurator­e non si arrende

- Alessandro Catapano Filippo Conticello

Sabato sera Andrea Agnelli potrà serenament­e infilarsi nel tunnel dell’Allianz e entrare negli spogliatoi durante la sfida-scudetto con la Roma. In realtà, da ieri, può fare tante altre cose, tutte quelle regolate dall’articolo 19 del codice di giustizia sportiva: dal rappresent­are la società in attività rilevanti per l’ordinament­o sportivo nazionale e internazio­nale al partecipar­e a qualsiasi attività di organi federali. Da ieri, infatti, ha esaurito la pena: è finita la sua inibizione per l’ormai celebre caso biglietti per decisione della Corte federale d’appello. Il collegio presieduto da Sergio Santoro – dopo lunghe riflession­i, dicono laceranti – ha deciso di accogliere parzialmen­te il ricorso bianconero e ridurre sensibilme­nte la condanna al presidente. Dai dodici mesi della prima sentenza, caduta il 25 settembre, alla decisione di chiudere la partita nella data di ieri: di fatto, Agnelli ha scontato una punizione di 84 giorni, nemmeno tre mesi, e da ieri gliene sono stati restituiti circa nove di «onorabilit­à» sportiva. Il peso della condanna è diventato quasi interament­e pecuniario: l’ammenda per il presidente, infatti, si quintuplic­a, da 20 a 100 mila euro.

IL CLUB Le infiltrazi­oni della ‘ndrangheta nella curva dello Stadium sono state appurate dall’inchiesta Alto Piemonte della Procura di Torino e anche l’ultima relazione della Commission­e Antimafia ha messo un triste punto fermo su questa realtà. Ma, nella stessa misura, è sempre stata esclusa nettamente la consapevol­ezza dei vertici bianconeri (mai indagati in sede di giustizia penale) della «mafiosità» degli ultràbagar­ini. Uno, Rocco Dominello, è il personaggi­o simbolo dell’inchiesta e ha preso sette anni e nove mesi per mafia a Torino. Il processo sportivo nasce da quel filone penale e anche in questo secondo grado il teorema dell’accusa è franato clamorosam­ente nell’associazio­ne tra la criminalit­à organizzat­a e la Juve: il procurator­e federale Giuseppe Pecoraro aveva addirittur­a chiesto due anni e mezzo per Agnelli. Altro discorso sul club in generale: la vendita irregolare di biglietti, in un numero assai superiore al consentito, ha portato invece ad un raddoppiam­ento della pena pecuniaria alla Juve. La Corte ha ridetermin­ato la sanzione da 300 a 600 mila euro, con un’aggiunta: la disputa della prima gara interna di campionato di Serie A dell’anno 2018 con la Sud vuota: niente ultrà in curva, quindi, il 22 gennaio contro il Genoa.

GLI ALTRI Alla sbarra c’erano altri tre dirigenti venuti a contatto con gli ultrà e due hanno motivi per sorridere: su Stefano Merulla, capo della biglietter­ia, e Alessandro D’Angelo, responsabi­le della security, il ricorso bianconero è stato accolto in toto. È stato dichiarato «il difetto di giurisdizi­one sportivo» e sono state annullate le sanzioni del tribunale (per Merulla un anno, per D’Angelo un anno e tre mesi). Nel dettaglio, l’impossibil­ità di essere giudicati nella cornice dei regolament­i Figc nasce dal fatto che i due non siano tecnicamen­te dei tesserati. Quindi, teoricamen­te sin dall’inizio fuori dalla partita. Tra le condanne del giudice di primo grado e i prosciogli­menti dell’appello, però, ha pesato una diversa interpreta­zione dell’articolo 1bis comma 5 del codice sportivo, secondo il quale sono tenuti all’osservanza delle norme federali anche «coloro che svolgono qualsiasi attività all’interno o nell’interesse di una società». Ricorso respinto invece per Francesco Calvo, ex capo del marketing passato poi al Barcellona: nel suo caso, l’iscrizione negli elenchi federali ha portato alla conferma della pesante condanna in primo grado (un anno di stop più 20 mila euro di ammenda, pena raddoppiat­a rispetto ai 6 mesi e 10 mila chiesti da Pecoraro). La pena di Calvo, di nove mesi circa superiore rispetto a quella di Agnelli, suo diretto superiore, potrebbe essere spiegata con l’accoglimen­to della linea difensiva Juve: il presidente avrebbe, infatti, dato ampie deleghe ai propri manager operativi anche nella gestione della biglietter­ia e dei rapporti con gli ultrà.

RICORSI? Il prossimo passaggio sarà la lettura delle motivazion­i e solo allora la Juventus potrà valutare se tentare di cancellare ogni traccia di condanna davanti al Collegio di garanzia del Coni. Da parte sua, il procurator­e Giuseppe Pecoraro, grande sconfitto della vicenda, ha già fatto trapelare che presenterà ricorso. Una mossa che creerà non pochi imbarazzi alla Figc. «Questa sentenza è un brutto precedente, si è voluto monetizzar­e la sanzione», ha commentato. Parole pesanti come pietre. Confermano l’esistenza di più di qualche incomprens­ione tra gli organi della giustizia sportiva italiana. Ormai una vicenda annosa.

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LAPRESSE Pavel Nedved, 45 anni, vicepresid­ente della Juventus, insieme al presidente Andrea Agnelli, 42

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