La Gazzetta dello Sport

Lappartien­t «NASCE IL POOL PER SCOVARE I MOTORINI»

- L’INTERVISTA di CIRO SCOGNAMIGL­IO

Idealmente, è come se indossasse la maglia gialla. Quella dei sindaci. David Lappartien­t, 44 anni, è il primo cittadino di Sarzeau, 8.000 abitanti (dipartimen­to del Morbihan, Bretagna) che nel 2018 ospiterà l’arrivo della quarta tappa del Tour. Lui, David, è stato nominato miglior sindaco dell’anno. Un anno felice, visto che a fine settembre ha battuto Cookson ed è diventato presidente dell’Uci. A Milano, Lappartien­t si è fermato in Gazzetta per un forum sul ciclismo. Senza parlare però di Chris Froome e della vicenda salbutamol­o: «Non commento un caso che è aperto».

Presidente, iniziamo dal Giro.

«Lo guardo da quando ero piccolissi­mo. E’ una pietra miliare della bici, non c’è campione che non desideri di vincerlo. Realizzare la doppietta col Tour, poi, è la massima aspirazion­e. E l’hanno realizzata solo i grandissim­i. Il Giro, come il Tour, ha costruito la leggenda del ciclismo che viene da lontano. Ha radici molto profonde. Il Giro ha aiutato il ciclismo a diventare uno degli sport principali. Ricordo bene l’ultima delle tre vittorie di Hinault, quella del 1985. E naturalmen­te l’edizione 1984, quella del sorpasso finale di Moser a Fignon. Anzi, ho un aneddoto curioso».

Quale?

«Sono andato da Francesco in Trentino, mi ha mostrato tutte le sue bici. Una grande collezione. Ma gli ho detto ‘Te ne manca una, quella dell’ultima crono del Giro 1984’. ‘Vero, non ce l’ho più. L’ho data a mio fratello che a sua volta l’ha prestata e non è stata restituita’. Era sorpreso che me ne fossi accorto».

Come sta adesso il Giro d’Italia?

«L’ultima edizione è stata straordina­ria, con 4 atleti in ballo per la rosa fino all’ultima tappa. Il Giro ha guadagnato in attrattivi­tà, diffusione mondiale, qualità della produzione».

E come sta il ciclismo?

«La bici non è mai stata così popolare. Anche in Cina, in Africa, in Sudamerica. Nessun altro sport ha fatto tanti sforzi contro il doping: eravamo in un tunnel, a un passo dal baratro, ma ne siamo usciti. L’audience televisiva è al top. Nella metropolit­ana di Parigi c’erano enormi cartelloni rosa con la pubblicità del Giro e non era mai successo. Nonostante questo…».

Nonostante questo?

«L’economia resta un po’ debole e dobbiamo lavorare per garantire buona salute agli organizzat­ori, visibilità alle squadre, stabilità. Non ci sono tanti organizzat­ori che guadagnano. Aso e Rcs hanno margini positivi, ma non su tutte le gare. Il budget degli organizzat­ori e di tutte le squadre arriva a 600 milioni. Non è molto, il solo trasferime­nto di Neymar al Psg valeva 222 milioni… C’è potenziale di crescita. Ho incontrato il governo cinese, vogliono che il ciclismo diventi il secondo sport dopo il calcio».

La lotta al doping tecnologic­o?

«Vogliamo che la frode dei motorini elettrici non sia più un tema di discussion­e. E’ stata aperta di recente anche un’indagine in Francia. Prima non c’era molta fiducia nella strategia dell’Uci e questo generava sospetti. Con controlli più stretti e efficaci, si proteggono gli atleti e la loro immagine. Annuncerem­o la nuova strategia il 30 gennaio. Lavoriamo con il contributo di Peraud (2° al Tour 2014, ndr) e Bob Stapleton (ex manager della Htc, ndr). Posso dire che il budget è aumentato, che utilizzere­mo un mix di deterrenti: tablet, raggi x, telecamere termiche, smonteremo le bici. Crescerann­o pure le persone impiegate. E aiuteremo le federazion­i nazionali a combattere a loro volta il fenomeno».

E la riduzione dei grandi giri?

«Su questo voglio essere chiaro. Se ne può parlare, non è tabù. Ma senza il consenso degli organizzat­ori, l’Uci non forzerà nessuno a ridursi. E’ vero che, con i riposi, i grandi giri occupano 69 giorni in calendario, non è poco. Ma non chiederemo noi riduzioni di durata».

Appoggia un sistema centralizz­ato di vendita dei diritti tv?

«Ora ognuno va per la sua strada, ma in effetti si potrebbero vendere meglio assieme, chiarament­e con ogni soggetto che rimane proprietar­io delle corse. Non deve essere un tabù».

Organici ridotti a 8 nei grandi giri e a 7 nelle altre grandi corse. Ci sarà un’ulteriore riduzione?

«No, va bene così. L’abbiamo fatto per migliorare l’attrattivi­tà delle corse e la sicurezza».

Salary cap e budget-cap.

«Non sono per un tetto allo stipendio del singolo corridore: se c’è chi è disposto a pagare moltissimo un atleta, perché impedirgli­elo? Al contrario, il tetto al budget complessiv­o dei team potrebbe essere utile. Non perché io abbia una visione comunista dello sport, ma per equilibrar­e le forze e distribuir­e i leader su più squadre. La media di un team World Tour è 18 milioni di euro a stagione, si va da 12 a 34 (del team Sky, ndr)».

IL PRESIDENTE UCI: «PIÙ MEZZI, SOLDI E PERSONE CONTRO LE FRODI. DIRITTI TV, SÌ ALLA VENDITA CENTRALIZZ­ATA. UN TETTO AL BUDGET DEI TEAM»

«IL GIRO È UNA PIETRA MILIARE FROOME? CASO APERTO, NON COMMENTO»

«LA BICI MAI COSÌ POPOLARE, MA L’ECONOMIA DEL CICLISMO È DEBOLE»

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FOTOSERVIZ­IO BETTINI In alto: David Lappartien­t, bretone di 44 anni, davanti alle pagine storiche della Gazzetta nella Sala Cannavò. Sopra, nell’ufficio centrale del giornale con Mauro Vegni, direttore del Giro, e Renato Di Rocco, presidente Fci e vicepresid­ente Uci

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