La Gazzetta dello Sport

NOSTRA BUSSOLA E CAPITANO SUL LAVORO

- di FAUSTO NARDUCCI

Daniele Redaelli era un capitano sul lavoro e una guida nella vita. Un fratello in maglia rosa e anche un grande giornalist­a. Ogni singolo collega, ogni singola persona che l’ha conosciuto, ascoltando i suoi racconti coloriti e appassiona­ti, ha potuto mettersi in tasca un pezzo di saggezza e generosità...

Daniele Redaelli era un capitano sul lavoro e una guida nella vita. Un fratello in maglia rosa e anche un grande giornalist­a. Ogni singolo collega, ogni singola persona che l’ha conosciuto, ascoltando i suoi racconti coloriti e appassiona­ti, ha potuto mettersi in tasca un pezzo di saggezza e generosità che ora si porterà dietro come una bussola per orientarsi nel tratto di strada che ci resta da compiere senza di lui. Daniele se n’è andato dopo aver combattuto contro l’ultimo dei malanni che affrontava col solito sistema: tranquilli­zzando gli altri e minimizzan­do gli effetti su di lui. Alla vigilia di Natale, quando la malattia gli aveva concesso un effimero stato di grazia, aveva mostrato la sua tempra di combattent­e: «Sono contento della mia vita di oggi, non posso mollare proprio adesso». Si è arreso proprio alla vigilia del Capodanno attorniato anche dalla Gazzetta, che era una delle sue tante famiglie. Chiunque di noi avesse un problema, anche pratico, per istinto lo chiamava e Daniele si trasformav­a in meccanico o vigile stradale, meglio delle guide Michelin e del Touring. Era cresciuto a pane e sport ma soprattutt­o aveva l’arte di trasformar­e fatti apparentem­ente insignific­anti in aneddoti coloriti con cui teneva banco nelle celebri adunate notturne al ristorante della domenica. Da qualche parte in un cassetto della redazione c’è un quaderno che conserva le frasi celebri che manterremo sempre nel nostro gergo. Sapeva tutto di storia e di geografia, amava l’Inter, Cuba e le auto ma per realizzars­i profession­almente aveva scelto gli sport minori, a cominciare dalla nostra amata boxe, curata con il mitico Maurizio Mosca. Era un fine scrittore ma la generosità lo portava a mettersi sempre da parte: «Questo scrivilo tu perché so che ti fa piacere», «Fai tu la cronaca, io ti faccio gli spogliatoi». E dopo il lavoro era sempre «di strada» per accompagna­rti a casa. Ho lavorato al suo fianco per 35 anni, non lo perdonerò mai per aver cambiato tragitto. Come era solito dire: «Bene, ma non benissimo».

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