COACH MESSINA: «SPURS SNOBBATI? VA BENE COSÌ...»
Il vice di Pop a San Antonio: « Ci manca continuità, fatichiamo a far canestro ma Aldridge ci trascina»
L’appuntamento è dopo aver «scaldato» Manu Ginobili, uno dei suoi figli prediletti. Stessi gesti. Come se quindici e passa anni fossero roba di ieri: 2000-2002, Virtus Bologna. «Vogliono tutti bene a Manu», dice Ettore Messina, mentre decine di argentini con la sua maglia lo invocano dentro al Madison Square Garden. Forse anche grazie a quella spinta sudamericana, San Antonio ha migliorato il bilancio in trasferta (9-10), battendo i Knicks a New York. «In effetti fra le squadre leader siamo gli unici ad avere un bilancio in rosso fuori casa. Non è una cosa da Spurs: un problema che dobbiamo sistemare, ma non sappiamo ancora come riuscirci».
E’ l’unico difetto di quest’anno?
«Metto pure la discontinuità e la difficoltà a volte a fare canestro. In alcune partite abbiamo segnato 120 punti e in altre ci siamo fermati a 90. Dipende dalla velocità con cui muoviamo il pallone».
Nonostante le assenze di Tony Parker e Kawhi Leonard per buona parte della stagione, siete comunque la terza forza a Ovest, la quinta dell’intera Nba.
«Ma non siamo contenti, perché vorremmo essere più continui. Facciamo due o tre partite buone, poi incappiamo in una gara al di sotto delle aspettative. Stiamo cercando di far rientrare gradualmente Tony (dentro da 20 match) e Kawhi (da 7) e questo porta a scombussolamenti che tutti ovviamente vorrebbero avere».
Però avete gestito al meglio le loro assenze.
«Perché Kyle Anderson ha fatto un egregio campionato, Dejounte Murray ha dato segnali di crescita importanti e LaMarcus Aldridge ci ha trascinato. Molte prove in doppiadoppia, qualcuna da 30 punti, con una personalità che nei primi 2 anni non aveva avuto».
Infatti, solo la stagione passata Aldridge veniva criticato.
«Perché non è facile arrivare da noi e rendere al massimo. Siamo simili a una squadra di college: c’è un programma stabilizzato da tanto tempo e non trovi subito il tuo habitat naturale. Hai paura di pestare i piedi agli altri e sei concentrato a comprendere ciò che questo allenatore estremamente carismatico pretende da te. E allora rischi di snaturarti. Pop l’ha capito e ha ammesso di aver sbagliato: non succede da molte parti. Da quel momento Aldridge si è come sbloccato».
Nonostante il vostro ennesimo ottimo campionato, i media vi snobbano e si occupano delle altre grandi: Cavs, Rockets, Celtics e naturalmente Warriors.
«E’ così per tradizione. Ci siamo abituati e la mancanza di attenzione nei nostri confronti ci va benissimo».
Forse anche perché alcune prime della classe fanno i botti di mercato, mentre voi continuate a vincere affidandovi alle scelte (alte), a giocatori neppure chiamati al draft o veterani in crisi.
«Diciamo che è il lato negativo di venti e più stagioni ad altissimo livello. Ormai è sempre più difficile fare colpi come Ginobili o Parker: tutti hanno potenziato il reparto scout e il giocatore sconosciuto non esiste più. Abbiamo pescato bene con Murray e firmato Rudy Gay, che ci ha dato lampi importanti in questa metà di campionato».
Fra i ragazzi pescati sul fondo del primo round in questi ultimi draft, si nasconde il prossimo Ginobili o Parker?
«Mi sembrano standard molto elevati. Noi siamo già soddisfatti di come si stanno comportando. Bryn Forbes, non scelto, ha fatto già svariate presenze da titolare. Davis Bertans (n° 42 nel 2011), formato in Europa, ci dà una mano. Murray (n° 29 nel 2016), invece, con il talento fisico e l’aggressività che si ritrova potrebbe diventare un giorno materiale di primo livello».
E’ la sua quarta stagione come vice di Pop: si sente migliorato?
«Sicuramente credo di aver aggiunto altre esperienze importanti. Ho imparato in materia tattica, organizzazione, allenamento, comunicazione con la stampa e rapporto con gli assistenti. Fai tutto al massimo livello e devi dimostrare sempre di meritarti di restare qui».
Ha già in mente quale sarà il suo prossimo passo?
«Non dipende da me. Se avrò la possibilità di diventare capoallenatore Nba ci rifletterò molto seriamente. Ma se questa occasione non arriverà, e potrebbe benissimo essere così, alla scadenza del contratto deciderò ciò che farò. Comunque è un punto di partenza sbagliato pensare a cosa scegliere prima di avere delle offerte».
Quanto contano le connection nella Nba?
«Come in qualunque altro Paese. Io mi reputo fortunato, perché da giovane presidenti incoscienti mi hanno dato opportunità bellissime: alla Virtus o in Nazionale. Ma se ti affanni a creare le connection, vivi male: non mi pare saggio».
C’è qualcosa di cui va più orgoglioso?
«In questo momento, vedere mio figlio crescere. Professionalmente, sentirsi stimato. Magari un parolone, ma ci sta».
La squadra che ha deluso di più fino ad ora?
«Non faccio nomi. Alcune stanno soffrendo, ma forse si erano poste aspettative troppo alte».
Un giocatore che l’ha sorpresa?
«Fra quelli non di rango, dico Donovan Mitchell dei Jazz e De’Aaron Fox dei Kings».
Curry, Durant, Harden, Irving, LeBron, Westbrook. Chi è il suo mvp?
«Durissimo scegliere, ma la potenza, la continuità e il livello di gioco di LeBron alla sua età è impressionante. E Durant è quello che si sta completando di più».