La Gazzetta dello Sport

QUANDO L’ALPINISMO DIVENTA CULTURA

- di REINHOLD MESSNER

L’alpinismo non è soltanto un’attività sportiva. È anche un’attività culturale. Questo è ciò che più conta per me ed è il motivo per il quale ho deciso di intraprend­ere una nuova vita: quella di regista cinematogr­afico. Per raccontare con i miei film storie vere. Senza aggiungere invenzioni: mostrando i fatti ed evitando di esprimere giudizi. Ho sempre detestato i film hollywoodi­ani, che non fanno mai a meno di contrappor­re buoni e cattivi. Le storie di alpinismo e di avventura le ho raccontate in passato con i libri o nelle conferenze-spettacolo. Ora ci provo con le immagini, ma sempre come uno storytelle­r.

Sono onorato che il mio primo film, «Still Alive. Dramma sul Monte Kenya», abbia inaugurato la nuova collana di DVD di alpinismo di questo giornale. È una bellissima storia. Non l’ho vissuta io, ma la conoscevo bene perché, subito dopo i fatti, l’ho appresa dai due protagonis­ti, entrambi medici, divenuti poi miei amici e compagni di scalate. Nel 1970 Gert Judmaier, vittima di una drammatica caduta a oltre 5000 metri di quota dopo aver scalato il Mount Kenya, venne ricoverato a Innsbruck per curare le gravi fratture a una gamba. Finì proprio nella camera dove ero ricoverato io per la riabilitaz­ione, dopo i congelamen­ti ai piedi sul Nanga Parbat. E a far visita a Gert veniva sempre Oswald «Bulle» Oelz, che lo aveva aiutato e assistito nella interminab­ile lotta per la sopravvive­nza.

Non ho paura di svelare la trama, visto che la storia la raccontano i due veri protagonis­ti. Che, nelle scene ricostruit­e proprio nei luoghi dove si svolse il dramma, sono interpreta­ti dai fratelli Hansjörg e Vitus Auer. Perché soltanto degli alpinisti veri possono essere credibili nelle scene in parete.

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