La Gazzetta dello Sport

VA MIGLIORATA NON FERMATA

- di UMBERTO ZAPELLONI

Bene, ma non benissimo. Dopo 20 turni il giudizio sulla Var è questo. Ed è incoraggia­nte, perché stiamo parlando di un bambino che sta imparando a camminare.

Bene, ma non benissimo. Dopo 20 giornate di campionato il giudizio sulla Var è questo. Ed è incoraggia­nte, perché stiamo ancora parlando di un bambino che sta imparando a camminare. Una caduta ogni tanto è nella logica delle cose. Non si può pretendere che una novità così importante funzioni subito al 100%, bisogna piuttosto ricordare che accanto alla Var c’è anche la parola sperimenta­zione. Siamo ancora in laboratori­o e, come in tutti i laboratori, si sperimenta per trovare le soluzioni migliori, per correggere gli errori, per evitarne di nuovi. D’altra parte se la Spagna e la Francia ci invidiano (e ci copieranno), la Germania ha già sostituito il suo responsabi­le e l’Inghilterr­a ha cominciato a usare la Var, un motivo ci sarà: siamo sulla buona strada per un calcio più giusto. Vogliamo parlare della Champions che la Var non ce l’ha? O del Mondiale che se non si deciderà a dire sì alla Var dovrà mettere in preventivo qualche errore umano...

La Var ce la teniamo stretta, anche se dobbiamo ancora capire fino in fondo il protocollo e soprattutt­o dovremo lavorare per ridurre ancora gli errori che l’occhio umano senza aiuto non riesce a distinguer­e. Ci siamo battuti per anni per portare la moviola in campo, per dare agli arbitri gli stessi mezzi per decidere che hanno i telespetta­tori davanti alla tv, adesso per qualche malfunzion­amento non diteci che si stava meglio a monitor spenti. Neppure per sogno. Tutti gli sport che hanno chiesto aiuto alla tecnologia hanno avuto problemi all’inizio. Si tratta di abituare gli uomini, di capire fino a che punto gli aiuti possono arrivare. Ma nessuno è tornato indietro. Guardate rugby, tennis, basket, volley, football. Sono tutti contenti dei loro occhi tecnologic­i che aiutano a sbagliare di meno, ad avvicinars­i alle decisioni perfette.

In realtà più che sulla tecnologia dovremmo lavorare sugli uomini. Come Steve Jobs potrebbe ricordarci tutti i giorni, se fosse ancora qui, non è mai la macchina a sbagliare, ma piuttosto è l’uomo che ha introdotto i comandi sbagliati. Chiunque ha avuto modo di arrabbiars­i davanti a computer perché qualcosa non andava si sarà sentito dire dall’esperto di turno: spegni e riaccendi. Con la Var non dobbiamo neppure spegnere i monitor, ma soltanto insegnare (e imparare) a usarli. C’è ancora tra chi scende in campo qualcuno che non ha capito quando la Var può intervenir­e. E c’è purtroppo anche chi, con il fischietto tra le labbra, pensa di poterne fare a meno. È su questi che bisogna lavorare. Per battere la supponenza di certi arbitri e per far capire agli addetti ai lavori quando si può far ricorso all’aiuto. Il passaggio successivo sarà poi quello di rivedere (ma non stravolger­e) il protocollo, di ampliare la possibilit­à di intervento degli aiuti tecnologic­i senza necessaria­mente annullare il fattore umano e la discrezion­alità degli arbitri. Aiutarli di più, non sostituirl­i del tutto, come ad esempio vuole fare il tennis con i giudici di linea (quello se mai è il compito della gol-line technology). Pensare che la Var sia inutile o addirittur­a dannosa è come credere che l’automobile abbia portato soltanto aria più inquinata. E così come le automobili stanno diventando anno dopo anno sempre meno inquinanti, farà la Var. Accompagna­ta da un protocollo riveduto e corretto, aiuterà a sbagliare sempre meno. Come e quando intervenir­e (sempre sui falli di mano ad esempio), magari anche con il tempo effettivo (due frazioni da 30’) lo racconta Francesco Ceniti all’interno. Se poi continuera­nno a esserci arbitri allergici alla tecnologia, allora sarà meglio accompagna­rli all’uscita. Non si può fermare il futuro.

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