La Gazzetta dello Sport

ALLENATORI, VALORI PIÙ O MENO AGGIUNTI

- Di ROBERTO BECCANTINI­I

Da valore aggiunto a valori da aggiungere, la carriera dell’allenatore rimbalza sempre fra un estremo e l’altro. Valore aggiunto, quando le cose vanno così bene che sembra tutto merito suo. Valori da aggiungere, non appena il rendimento complessiv­o della squadra flette e allora parte, implacabil­e, il tam tam del mercato: perché sì, il risultato «raggiunto» non combacia più con il valore «aggiunto». Un bel mistero. Un bel guaio.

Il caso più emblematic­o riguarda Luciano Spalletti, la cui Inter si alzò dai blocchi come pochi avrebbero immaginato - quattro vittorie consecutiv­e - e fino allo 00 strappato alla Juventus comandò la classifica in barba alle griglie d’agosto. Era il 10 dicembre. Improvvisa­mente, l’eclissi. Il Pordenone e il derby di coppa, le sconfitte con Udinese e Sassuolo, i pareggi con Lazio e Fiorentina. Gol realizzati, due: entrambi da Mauro Icardi.

La formazione fissa e facilmente riconoscib­ile incarnava un segnale forte. Gli infortuni (di Joao Miranda, di Danilo D’Ambrosio) hanno contribuit­o a spezzare l’incantesim­o. Il concetto di panchina corta, pur in assenza di impegni europei fin dall’estate e di coppa domestica dai primi dell’anno, ha sfrattato l’ottimismo, ha rigato le conoscenze. Il calo di Antonio Candreva e le lune di Ivan Perisic hanno sabotato la velocità di crociera, al netto di quella zona Champions che rimane l’obiettivo manifesto. E così di Spalletti si continua a parlare, ci mancherebb­e, ma non più come di un valore aggiunto. Sempliceme­nte, come di uno zoppo che ha bisogno di stampelle, soprattutt­o al centro della difesa e sulle fasce. Prendete il Toro. Se c’era un giocatore che Sinisa Mihajlovic aveva imposto a Urbano Cairo era M’Baye Niang. Lo aveva avuto al Milan, ne conosceva le risorse spesso inesplose (se non, addirittur­a, inesplorat­e). Ebbene, non si ricorda un fiasco più clamoroso. Tanto che, non potendo licenziare la belva, il presidente ha esonerato il domatore. Sotto con Walter Mazzarri, un artigiano che da Livorno e Reggio Calabria a Napoli ha sempre valorizzat­o gli attaccanti, sordo alle etichette di bieco difensivis­ta che i salotti radical-chic gli appiccicav­ano per pigrizia di pensiero. Casualment­e, al suo debutto contro il Bologna, il migliore in campo è stato quel Niang che fin lì, con Miha, aveva tolto e mai aggiunto.

Napoli e Atalanta viaggiano ormai con il pilota automatico, felici di quello che fanno e felici, in particolar­e, perché fanno proprio quello. Maurizio Sarri e Gian Piero Gasperini non si limitano a gestire. Insegnano. Detestano le seduzioni del mercato, fedeli a costruzion­i che non dipendono «solo» dal fatturato, ma si basano sul coraggio delle idee. Finché progetto non li separi.

Pep Guardiola e José Mourinho sono valori aggiunti che, per ribadirlo, hanno bisogno di trasfusion­i seriali, di campagne capaci di garantire il meglio in ogni settore. Alla mensa della Juventus Antonio Conte sognava i ristoranti da cento euro dell’Europa più ricca e godereccia. Arrivato al Chelsea, ha adeguato la mira senza abbassare il tiro o l’invidia.

E Massimilia­no Allegri? L’harem messogli a disposizio­ne dalla società fa sì che il marchio di «valore aggiunto» sia molto ballerino, molto soggettivo. Come a Barcellona, là dove, per 160 milioni di euro, «tale» Philippe Coutinho ha affiancato Leo Messi e raggiunto Ernesto Valverde. Non risulta che il Barça fosse in crisi. O il tecnico scarso. Nel dubbio, però...

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