La felicità di super Aru «Guardate che bello il tricolore»
«ANCHE MIA NONNA SI È STUPITA DI QUANTO SONO SERENO. QUI ALLA UAE MI SENTO UN SIMBOLO, SONO FELICE DI ESSERE CORRIDORE». IN CHAT: « GIRO O MONDIALE? ENTRAMBI»
Se quello che tutti pensano te lo senti sussurrare all’orecchio dalla dolce voce di nonna, allora è proprio vero. «Ti vedo bene»: tre parole semplici e mai così vere. Fabio Aru è tornato da poco dalla Sardegna e non è fantasia vedere riflessa negli occhi la luce della sua isola meravigliosa e dello spirito impaziente di affrontare nuove sfide. «Sì, sono felice», dice il campione d’Italia quando mostra in anteprima la maglia tricolore. «Vi piace la nuova versione?», con le fasce biancorosso-verdi più ampie (ora corrono attorno al busto) e il logo della squadra più piccolo. Succede in un pomeriggio di gennaio in Gazzetta, quando si siedono allo stesso tavolo quattro uomini-chiave del nostro ciclismo. Oltre al 27enne sardo, ecco il c.t. Davide Cassani, l’iridato di Goodwood 1982 Beppe Saronni e quel prodigio di Ernesto Colnago, vicino (9 febbraio) a compiere 86 anni magnificamente portati. Non ci sono solo i legami più ovvi: il costruttore lombardo fornisce le bici alla Uae-Emirates, di cui Saronni è general manager e Aru il nuovo capitano, simbolo (con Dan Martin e Kristoff) di una campagna acquisti importante. C’è l’occasione di ricordare quanto successe a fine 2000, quando sul tavolo di Colnago c’era il contratto da c.t. pronto per Saronni che però rifiutò, proponendo Ballerini. Fabio Aru aveva 10 anni. Adesso, uomo e campione, è pronto a lanciarsi in una nuova avventura (debutterà all’Abu Dhabi Tour, 21-25 febbraio), destinata ad essere improntata sul ritorno al Giro dopo due stagioni e sul Mondiale austriaco di In- nsbruck. «Cosa è meglio? Entrambi», sorride nella diretta Facebook con i lettori della Gazzetta.
Aru, quali sono le ragioni di questa felicità?
«Degli anni all’Astana mi voglio tenere le cose belle, ma era arrivato il momento di cambiare. Mi volevano altre squadre, qui alla Uae-Emirates mi sento al centro del progetto ed avevo bisogno proprio di questo. Già nel primo ritiro, a dicembre in Sicilia, ho percepito grande armonia e voglia di crescere tutti assieme. Ai giovani mancavano figure di riferimento e io, ma anche Kristoff e Martin, possiamo esserlo».
C’è chi dice che lei dovrebbe essere più spontaneo, più spavaldo. Più vicino allo stile-Sagan.
«Sagan fa bene ad essere così com’è, quello è il suo carattere. Io sono timido, umile, con i piedi per terra. Non ho motivo per cambiare».
Ha vinto una Vuelta, è salito due volte sul podio del Giro, è stato leader al Tour. Eppure ha avuto anche tanti momenti-no. Si sente in credito con la fortuna?
«No. Non mi sento uno sfigato. Forse i momenti difficili finora sono stati più di quelli felici… ma l’importante è sapersi rialzarsi e riproporsi al meglio».
Le responsabilità le pesano?
«No, sono un incentivo a fare meglio. Sono già stato tante volte capitano, mi sento di esserlo».
E il Tricolore cosa rappresenta?
«Non dico che ancora devo realizzare di averla vinta, questa maglia, perché sono passati più di sei mesi… Ma ogni mattina quando la indosso mi sembra ancora quasi un sogno».
Avrebbe voluto che qualche ex compagno dell’Astana la seguisse alla Uae-Emirates?
«Cataldo e Luis Leon Sanchez. Ma è stata una stagione particolare e io ho firmato a ottobre. Hanno avuto una buona offerta dall’Astana e hanno fatto bene ad accettarla. Magari faremo in tempo ad essere di nuovo compagni».
Come giudica il suo gruppo, soprattutto per la salita?
«Gente come Conti, Durasek, Polanc, Atapuma… uomini importanti. A volte, gregari fortissimi senza un capitano non si esprimono al meglio, mentre è fondamentale avere chi ti sappia guidare. L’ho capito al primo Giro, 2013. Ero con Nibali, lui vinse e io fui gestito al meglio. Era Vincenzo a dirmi quando dare tutto o rifiatare. Riuscii ad arrivare in fondo, altrimenti mi sarei ritirato».
Il momento più bello?
«Il primo successo al Giro, nel 2014 a Montecampione. Mi ha proiettato in un’altra dimensione. E’ così bello vincere con una azione del genere. Io quando sto veramente bene attacco e non mi pongo il problema di quanti chilometri manchino all’arrivo. Uno come Contador mancherà al ciclismo perché non aveva paura, ha sempre osato. A me piace l’attacco, piace lo spettacolo, naturalmente poi l’azione deve avere senso. E’ questa la cosa che più piace al pubblico del ciclismo, è ciò di cui abbiamo bisogno ( un concetto- chiave condiviso da Saronni, ndr)».
Qui c’è il c.t. Cassani: come conciliare le sue ambizioni con quelle di Nibali per il Mondiale?
«Non ci saranno problemi. Con la maglia azzurra addosso non si può tradire. Siamo già andati molto d’accordo ai Giochi di Rio, è quello lo spirito da avere (e il c.t. annuisce, ndr). Abbiamo un’occasione unica. E conta solo che vinca l’Italia».