Il rifiuto più sincero resta quello di Gigi Riva
●Rombo di Tuono e i suoi no alle grandi per non tradire la Sardegna. Vialli e il due di picche rifilato a Berlusconi
Simone Verdi ha declinato l’offerta del Napoli: «Sto meglio a Bologna». Ha esercitato il diritto di dire no ed è stato subissato di critiche, ma la facoltà di rifiutare qualcosa o qualcuno è sacra. Vasco Rossi, rocker che più volte ha sbancato il San Paolo, ci ha scritto sopra una canzone famosa, «C’è chi dice no».
BUONA COMPAGNIA Verdi si ritrova in buona compagnia: Paolo Rossi, il suo predecessore. Rossi disse no al Napoli nell’estate del 1979. Era appena retrocesso col «Real» Vicenza, lo voleva mezza Italia. Il Napoli di Ferlaino si mosse e l’affare venne chiuso. Tutto deciso, mancavano le firme. Poi il no di Rossi, motivato lì per lì come una scelta di vita e di carriera. Il timore di una città difficile e di una tifoseria esigente, la realtà di una squadra non forte: Maradona era di là da venire. Negli anni Corrado Ferlaino ha raccontato un’altra verità. L’ultima versione nell’estate scorsa: «Ero a Capri in vacanza, con Gino Palumbo direttore della Gazzetta, quando mi telefonò Farina presidente del Vicenza. Mi proponeva Rossi. Io scattai e in due giorni chiudemmo l’operazione. Poi intervenne qualcuno, forse la Juventus, non ne sono certo. A quel punto Rossi rifiutò di venire al Napoli. Poco dopo andò a giocare coi bianconeri». In realtà Pablito passò al Perugia e si ritrovò coinvolto nel primo scandalo scommesse. La Juve lo prese a squalifica ancora in corso. Più sfumate le ragioni del mancato arrivo di Robi Baggio. Nell’estate del 2000 il Codino cercava squadra e non si è mai capito bene se sia stato lui a dire
no a Napoli o se a non volerlo sia stato il Napoli, che affidò la panchina a Zeman (il calcio del Boemo non era esattamente a misura di Robi). La trattativa sembrava avviata, poi Baggio firmò per il Brescia.
IL PIÙ SIMILE In realtà il no di Verdi al Napoli assomiglia al-
l’allergia di Berardi per la Juventus. Questione generazionale. Verdi è del 1992, l’attaccante del Sassuolo è nato nel 1994. Sociologi e psicologi potrebbero indagare su queste «fughe» dalle grandi squadre: i giovani di oggi scappano da pressioni e responsabilità? «La Juve - ha spiegato Berardi mesi fa - spingeva perché andassi: per me era una specie di imposizione». L’ansia da Juve, meglio rimanere nel tepore di Sassuolo e non rinnegare il tifo dell’adolescenza: «Sono nato interista...».
L’INIMITABILE GIGI Silvio Berlusconi non ha preso tanti due di picche in vita sua, ma qualcuno sì. Uno gliel’ha rifilato Gianluca Vialli. Il Cavaliere ci provò nel 1986, quando Vialli giocava nella Samp di Paolo Mantovani, presidente senza problemi di soldi. «Amo il mare di Nervi», rispose più o meno l’attaccante. Berlusconi avrebbe voluto pure Francesco Totti, troppo romano e romanista per non declinare gli interessamenti di Milan, Inter e Real. Berlusconi consapevole delle difficoltà dell’operazione: «Lo volevo, sì, ma le bandiere non si comprano». Un no clamoroso è stato quello di Totò Di Natale alla Juve, nel 2010: «Grazie, preferisco essere il primo a Udine». E non uno dei tanti a Torino. Di Natale, Berardi: la Juve intimorisce. L’unico calciatore ad aver pronunciato un rifiuto serio, credibile e sincero rimane Gigi Riva, il Rombo di Tuono del Cagliari dello scudetto 1970. Juve, Inter, Milan: ci provarono in tanti, offrivano mari e monti. Riva restava irremovibile. «Il Cagliari era tutto per tutti – disse poi – e io non potevo togliere le uniche gioie ai pastori. Sarebbe stata una vigliaccata andare via, malgrado tutti i soldi della Juve. Dopo ogni partita spuntava Allodi che mi diceva: “Dai, telefoniamo a Boniperti”. Ma non ho mai avuto dubbi e non mi sono pentito». Pietro Paolo Virdis provò a imitarlo, fuggì per l’isola, ma Boniperti lo scovò a Santa Teresa di Gallura e gli fece firmare il contratto con la Juve. Dal diritto di dire no ai doveri di un sì.