La Gazzetta dello Sport

CASO SCHWAZER SEMPRE PIU’ NEBULOSO

Il laboratori­o di Colonia non consegna l’urina dell’olimpionic­o squalifica­to

- L’ANALISI di VALERIO PICCIONI

Ma perché il laboratori­o di Colonia non consegna ai carabinier­i italiani l’urina che serve per l’esame del Dna di Alex Schwazer, passaggio decisivo per smentire o accertare l’ipotesi che qualcosa di strano sia accaduto nella seconda positività dell’olimpionic­o, al momento del controllo – primo gennaio 2016 - in piena preparazio­ne verso l’olimpiade di Rio insieme con il suo allenatore Sandro Donati?

La domanda non ha nulla di nuovo, il problema è che non trova risposta, tanto che in queste ore l’ha formulata, ovviamente con un linguaggio diverso dal nostro, anche il gip di Bolzano, Walter Pelino, che ha chiesto alla giustizia tedesca in maniera «urgente» di provvedere alle operazioni di consegna. Consegna finora rinviata, nonostante l’autorizzaz­ione della Corte d’Appello di Colonia. Peraltro il «non possiamo» del laboratori­o avrebbe avuto una motivazion­e, la mancanza di chiarezza sulle modalità dell’operazione, piuttosto singolare, visto che i giudici tedeschi avevano persino disposto in due riprese le quantità da prelevare per il campione A (analisi) e il campione B (controanal­isi).

Il caso Schwazer ha seminato una quantità di dubbi, domande, divisioni nel corso degli anni. Innocentis­ti e colpevolis­ti si sono fronteggia­ti senza esclusione di colpi. Ora, però, il problema è più a monte che a valle. E si può riassumere così: dateci una spiegazion­e. Laboratori­o di Colonia, Wada, Iaaf, è il momento di illustrare la ragione di questa collezione di rinvii, una melina che come minimo non aiuta la ricerca della verità. Possono esserci motivi tecnici, che presumibil­mente saranno però stati presi in consideraz­ione nel lungo iter giudiziari­o che ha portato alla decisione di Colonia. Ne possono essere sopraggiun­ti altri, è possibile anche questo. Ma non è venuto il momento per le istituzion­i internazio­nali sportive coinvolte di prendere una posizione ufficiale?

Sicurament­e non può valere una spiegazion­e, quella secondo la quale sarebbe un rischio portare fuori le provette dall’antidoping «sportivo» perché costituire­bbe un precedente. Non c’è bisogno di essere un hacker di Fancy Bears per pensare che i risultati ottenuti dal sistema antidoping in questi due-tre anni, in particolar­e sul «fronte russo», siano stati frutto della collaboraz­ione con magistratu­re e polizie di vari Paesi. Insomma, è sacrosanto difendere la credibilit­à del sistema e dei suoi risultati, ma bisogna percorrere le strade giuste per farlo. Silenzi e rinvii non lo sono.

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