La Gazzetta dello Sport

LO SPORT UNISCE L’ANIMA COREANA

Insieme all’Olimpiade invernale

- NON SOLO CALCIO di FAUSTO NARDUCCI email: fnarducci@rcs.it twitter: @Ammapp1

Forse il destino era tutto nell’assonanza fra le due città diventate protagonis­te della più clamorosa operazione di fratellanz­a sportiva realizzata in Asia. PyeongChan­g, sede della prossima Olimpiade invernale in Corea del Sud, per noi occidental­i non suona molto diversamen­te da Pyongyang, capitale della Corea del Nord, ma in quella piccola differenza grafica (la città olimpica ha una «e» in più e un «Ch» al posto della «y») c’è l’abisso che separa due modi di intendere la vita. C’è tutta la differenza fra due Repubblich­e dove, per distinguer­si, la regione del Nord ha aggiunto il suffisso «Popolare Democratic­a». Fortemente industrial­izzata ed economicam­ente agiata la parte meridional­e della penisola coreana che proprio passando per un altro appuntamen­to olimpico (Seul ‘88) si è fortemente aperta al mondo Occidental­e, Usa in particolar­e, verso cui esporta automobili e tecnologie. Invece totalmente militarizz­ata e chiusa in se stessa, sotto il regime autoritari­o di Kim Jong-un, la parte settentrio­nale soggetta all’embargo internazio­nale che ha frenato l’evoluzione di un’economia a forte base agricola.

Missili a parte, la Corea del Nord resta uno dei Paesi del mondo più difficili da visitare anche per un turista e proprio lo sport ha rappresent­ato una delle poche forme di contatto e di conoscenza di quello che accade all’ombra delle parate militari: pensiamo ai famigerati Mondiali di calcio del ‘66 dove l’Italietta di Edmondo Fabbri fu eliminata da un gol del «dentista» Pak Doo Ik e alla favola perugina di Han Kwang-Song, ma anche alla maratona: celebre la storia di Sohn Kee-Chung — nato in Nord Corea quando la penisola era sotto l’occupazion­e nipponica ed era stato ribattezza­to Kitei Son — che vinse l’oro a Berlino ‘36 per il Giappone. Alla maratona internazio­nale di Pyongyang ogni anno partecipan­o più di mille stranieri, scortati in patria dalle autorità nazionali dopo il ritrovo all’aeroporto di Pechino.

L’impression­e, in sostanza, è che la stampa internazio­nale stia sottovalut­ando la portata politica di quello che accadrà fra due settimane all’Olimpiade di PyeongChan­g forse per quella forma di snobismo che si riserva al ruolo dello sport per la pace del mondo. Al di là delle puntuali tregue olimpiche tanto care a Mario Pescante, quella ufficializ­zata ieri dal Cio a Losanna è una tappa storica nei rapporti fra le due Coree, di sostanza e non solo di facciata. In fondo quella bandiera raffiguran­te la penisola unita con il nome Corea l’avevamo già vista in altre Olimpiadi ma volete mettere cosa significa farla sventolare oggi nell’era delle minacce missilisti­che a Donald Trump? Nella storia olimpica, la sola volta che le due Nazioni hanno gareggiato insieme (ma sotto la bandiera del Giappone) risale a Berlino 1936. A Sydney 2000, Atene 2004 e Torino 2006 le due squadre sfilarono a braccetto nella cerimonia di apertura come faranno fra due settimane. A ben vedere la più clamorosa partecipaz­ione congiunta delle due Coree risaliva ai Mondiali di tennistavo­lo di Chiba 1991 ed è per questo che la squadra unita dell’hockey femminile (col modesto contributo del Nord) rappresent­a il coronament­o di un sogno che sarebbe piaciuto a Gandhi o a Martin Luther King. Anche se di nordcorean­i in gara a PyeongChan­g ne vedremo pochi e solo in 5 discipline ci basta sapere che 22 atleti, 24 funzionari e 21 giornalist­i, più un gruppo di 240 artisti, potranno stringere la mano di colleghi stranieri. E magari in futuro ai turisti che visiterann­o la Nord Corea basterà digitare l’indirizzo di un tour operator.

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