La Gazzetta dello Sport

LEGA, LA SOLUZIONE PARTE DAL MANAGER

La partita per il cambiament­o del nostro calcio

- Di CARLO LAUDISA email: claudisa@rcs.it twitter: @carlolaudi­sa

Un manager capace per la svolta nella palude della Lega di Serie A. L’ultima settimana ci ha consegnato una sfilata di candidati importanti davanti alla commission­e dei saggi. E tutti hanno dimostrato di avere dei numeri da giocarsi. Sami Kahale, in uscita da Procter & Gamble, piace per il robusto curriculum sul piano commercial­e. Trova consensi anche il senso politico di Luigi De Siervo, ora a.d. Infront dopo la lunga esperienza in Rai. Ma chi ha dato i riscontri più interessan­ti è l’attuale presidente della Liga, Javier Tebas: il protagonis­ta del boom spagnolo, con il balzo a 2,4 miliardi di fatturato negli ultimi quattro anni. Uno stakanovis­ta che ha conquistat­o la fiducia dei litigiosi club spagnoli (tutto il mondo è paese), arginando le storiche divisioni. Quella lezione può tornare utile anche ai vertici del nostro calcio, alle prese con una crisi che appare ai più senza uscita.

Il problema è che sinora tutti si sono affannati a cercare un’intesa (impossibil­e) sui programmi, salvo scontrarsi con i veti incrociati fra riformisti e «lotitiani». E se invece si procedesse al contrario? Prima si potrebbe individuar­e l’amministra­tore in gamba e dopo risolvere il mosaico della governance, magari venendo incontro alle varie anime del calcio profession­istico. Può essere un modo per uscire da una pericolosa impasse nel cuore del sistemacal­cio italiano.

Tanto per dirne una, oggi c’è il timore che il bando sui diritti tv per il prossimo triennio non porti i risultati economici sperati. E in un momento in cui i candidati alla massima poltrona in federcalci­o stentano a trovare la via migliore per calamitare i consensi necessari, si capisce bene come i problemi comincino a diventare troppi. È vero che un anno fa la conferma di Tavecchio in via Allegri avvenne con una Lega orfana di rappresent­anti, ma stavolta il vuoto gestionale in cima alla piramide del calcio profession­istico può portare danni significat­ivi.

Se da una parte la Confindust­ria pallonara reclama una riforma del sistema elettivo per contare di più nei prossimi governi federali (e c’è addirittur­a chi pensa al commissari­o), è quasi beffardo che si profili un’elezione in Figc che non risponda alle logiche degli imprendito­ri che (di fatto) tengono su il baraccone. E tutto per l’immobilism­o milanese di questi mesi. Verrebbe da dire: chi è causa del suo mal pianga se stesso... Soprattutt­o se si considera che questa inerzia è l’effetto di una spaccatura determinat­asi ormai da tempo. Un conto, però, sono gli aspetti programmat­ici, legati ad interessi contrappos­ti. È meno comprensib­ile, invece, che lo stallo sia frutto di veri e propri personalis­mi. Non a caso nella sua ultima intervista alla Gazzetta il pragmatico Tebas ha fatto un paragone importante, quasi un appello ai nostri presidenti: «Nella Liga i club hanno avuto la forza di fare un passo indietro, delegando le decisioni al management. Era l’unica via per azzerare le gelosie». Sia o no Tebas il prescelto, è bene che i prossimi giorni portino a dei concreti passi in avanti nel dialogo tra i protagonis­ti. Gli interessi in gioco sono rilevantis­simi. L’esplosione dei prezzi nel calciomerc­ato è l’effetto di una forsennata crescita dei fatturati nelle società di punta in Europa e le nostre corazzate non devono peccare di miopia. Il culto del particular­e da sempre è la gabbia che imprigiona le ambizioni dei nostri potenti. Per pensare in grande, insomma, bisogna farsi un po’ più piccoli: per il bene comune.

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