La Gazzetta dello Sport

SE QUESTA È UNA SENTENZA

- Di ANDREA MONTI

N ei giorni della Memoria il calcio italiano mostra, se ancora ce n’era bisogno, di non averne affatto. E neppure un briciolo di cervello. La sentenza che condanna la Lazio a una piccola multa pecuniaria, la miseria di 50 mila euro, per la storia degli adesivi antisemiti oltre che indecente è pure stupida, ed è forse questo l’aspetto che più offende e colpisce...

Nei giorni della Memoria il calcio italiano mostra, se ancora ce n’era bisogno, di non averne affatto. E neppure un briciolo di cervello, benché la circostanz­a non sorprenda visto che proprio all’intelligen­za - latitante in questo caso - sono affidati i ricordi da tramandare. La sentenza che condanna la Lazio a una piccola multa pecuniaria, la miseria di 50 mila euro, per la storia degli adesivi antisemiti oltre che indecente è pure stupida, ed è forse questo l’aspetto che più offende e colpisce. Perché nulla, ma proprio nulla di quanto ruzzola nella testa di un ultrà può sfregiare il sorriso sublime di Anna Frank e il dramma inesprimib­ile che simboleggi­a. Non è questo il punto. Il fatto assolutame­nte lunare è che i burosauri della giustizia sportiva decidano di usare la mano leggera con i razzisti e di esercitars­i dottamente sul tema della responsabi­lità oggettiva proprio nell’anniversar­io della liberazion­e di Auschwitz, quando il mondo si ferma per commemorar­e le vittime della Shoah, nella giornata solenne in cui Liliana Segre diventa senatrice a vita, mentre tanti dirigenti e giocatori fanno visita al memoriale del Binario 21 di Milano. Dove, a caratteri cubitali, è incisa la parola “indifferen­za”. Qualcuno si affannerà a notare che i giudici, attenendos­i alle nuove norme, non se la sono sentita di «infliggere la sanzione di due giornate a porte chiuse in quanto verrebbe penalizzat­a la quasi totalità della tifoseria laziale per il becero comportame­nto di sole 20 persone subendo il danno economico…». Eccetera, eccetera. Non so quale altra sanzione avrebbe potuto inventarsi un giudice più saggio e creativo. Forse sarebbe bastato allestire una galleria di immagini dei campi di sterminio ai tornelli da cui si accede allo stadio: le forche caudine della memoria. Tutto, ma non certo un bel condono con buffetto alla Lazio perché avrebbe «posto in essere le misure di controllo previste», dimentican­do che due mesi fa la medesima società ha beffato ogni regola e ogni logica aprendo la curva Sud agli abbonati della Nord, squalifica­ta per razzismo. Questa sentenza è più di un autogol. E’ un messaggio avvelenato. Ci dice che il calcio è da considerar­si faccenda troppo seria per essere interrotta dalla bravata di pochi buontempon­i. Che gli stadi sono ufficialme­nte immuni dalla banalità del male assoluto, dalla sua immanenza nella modernità e nella vita quotidiana. Che schiere di storici e intellettu­ali, da Hannah Arendt a Zygmunt Bauman, hanno scritto e ragionato invano. Grazie al Tribunale sportivo tanti giovani ignoranti, e non è solo colpa degli stadi, continuera­nno a pensare che i campi di sterminio appartengo­no all’archeologi­a, non alla storia e all’attualità. A loro andrebbero lette poche parole di Primo Levi dalla prefazione di Se questo è un uomo: «A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevol­mente, che ogni straniero è nemico… questa convinzion­e giace in fondo agli animi come un’infezione latente… al termine della catena sta il Lager». Attenzione, non lui solo o gli ebrei, italiani come gli altri. Ogni «straniero» in senso metaforico e quindi ogni diverso per razza, fede, gusti o convinzion­i. Per carità, non si pretende che gli augusti magistrati del Tribunale Figc si conformino al parere dei colleghi di Norimberga e dell’Aja. Ma leggere i giornali e guardarsi un poco intorno, proprio no?

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