La Gazzetta dello Sport

SIMONE, LA LAZIO E IL CALCIO-GIOIA

Lettere alla Gazzetta

- PORTO FRANCO di FRANCO ARTURI email: farturi@gazzetta.it twitter: @arturifra

Sono un tifoso dell’Inter e seguo con apprension­e l’esito finale della campagna di rinforzi invernali che Spalletti si aspetta, insieme a noi in tribuna. Poi però vedo che ci supera in tromba una Lazio costruita con niente, che ha segnato 20 gol più di noi e che fa anche divertire. Dove sta l’errore? Peppino Quadri

Non parlerei di errore: il calcio non è meccanica determinis­tica. C’è un Leicester ogni secolo, d’accordo: ma in immediate contiguità, e in ogni Paese del Mondo, ci sono squadre «costruite con niente», come dice lei, che mettono in crisi il calcio dei grandi fatturati. Un piccolo episodio personale in salsa biancocele­ste: quasi cinque anni fa, il 19 marzo 2013, ho assistito ad Arco di Trento alla finale del locale torneo giovanile, il più importante d’Italia a livello Allievi (Under 16): in campo Lazio e Verona, con vittoria dei veneti. Mi venne in mente di conservare il foglietto con le due formazioni: mi chiedevo se avevo assistito a un «saranno famosi» e chi dei protagonis­ti avrei visto su grandi ribalte anni dopo. Da allora quel foglietto staziona sulla mia scrivania: l’ho aperto per risponderl­e.

Il futuro non è più quello di una volta, ha scritto un geniale anonimo: volevo averne una prova o una smentita. Per la verità pensavo ai giocatori: degli 11 laziali che hanno cominciato la partita in quel bel pomeriggio primaveril­e e che oggi hanno 21 anni, in serie A hanno esordito Simone Palombi e Alessandro Murgia; quest’ultimo è entrato contro l’Udinese. Niente di esplosivo: non posso raccontarv­i di aver «scoperto» né un Maradona né un nuovo Chinaglia. In realtà avevo posto inutili limiti alla mia curiosità: il tesoro era in panchina. Infatti l’allenatore di quel gruppo era Simone Inzaghi che oggi credo sia considerat­o molto più che un tecnico emergente: il suo futuro sarà popolato da proposte importanti. Lui sì è diventato famoso. E per la seconda volta nella vita, dal momento che come giocatore una buona traccia aveva lasciato.

Che tipo di gioco mette in campo la Lazio? L’ho chiesto a due osservator­i di cui mi fido molto. Il primo mi ha risposto: «A specchio con gli avversari, è una squadra maestra delle ripartenze». Il secondo: «Offensivo». Non metterei in conflitto le due sintesi. La Lazio non è sarriana, non è sfrenatame­nte «risultatis­ta» alla Allegri. Sfugge ad ogni etichetta, sembra non far scuola, anche se è la vera rivelazion­e dell’anno, dopo un già ottimo campionato nella stagione scorsa. Il tutto con un mercato in attivo: lo so, la cosa brucia a molte tifoserie, dal Milan in giù. Ma questo è.

La Lazio gioca a calcio: consentite­mi questa apparente banalità. Giocatori molto tecnici, soprattutt­o in mezzo al campo, toccano il pallone benissimo; un gran campione, Milinkovic, fa la differenza; quando c’è da difendere, la linea a 5 (era dai tempi del Genoa di Bagnoli che non ne vedevo una con allineamen­ti tanto millimetri­ci) e la compattezz­a generale, ti rendono davvero la vita difficile. E se c’è da andare in contropied­e si fila che è un piacere. Il secondo gol contro l’Udinese sulla volata di Felipe Anderson e sul tocco di Nani è uno spettacola­re «elementare Watson» fatto calcio.

Simone Inzaghi ci fa vedere una squadra che gioca con l’evidente piacere di farlo. La Lazio è sgravata da ossessioni di ogni natura: si muove con leggerezza e il gol è una conclusion­e quasi ovvia, serena della voglia di divertirsi dei giocatori. Direte che quando le aspettativ­e sono basse tutto è più facile: giusto. Ma la squadra è fra le prime fin dall’inizio del campionato, ormai tutti sanno e tutti l’aspettano al varco. Però Simone e la sua banda non si fermano. Che il segreto sia che giocano a calcio?

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