FEDERER DA LEGGENDA LA 30a FINALE DI SLAM
●Il giovane Chung si ritira (vesciche), Roger alla 30a finale Slam
Dove la mente sogna, il cuore non invecchia. E in quello di Federer batte il cuore del mondo. Povero Chung, ancora troppo tenero per trovarsi di fronte, oltre quella rete, non un avversario, seppur grandissimo, ma un’entità sovrannaturale capace di fermare il tempo e di sublimare nella sua grazia la passione di milioni e milioni di anime soggiogate dal più grande talento di sempre. Dopo un’ora e due minuti in pratica senza una partita, il giovanotto coreano si arrende alle vesciche che gli martirizzano il piede sinistro ma soprattutto alla leggenda del Divino: non è ancora il momento di battere un mito, uno stadio, un pianeta intero.
CERTEZZE Eppure, sulla Rod Laver Arena per l’occasione indoor causa pioggia, non si respira soltanto l’aura di intoccabilità che circonda il Re: Roger impartisce al piccolo maestro milanese della Next Gen innanzitutto una lezione tecnica, che prima disinnesca tutte le sue armi e poi gli entra nella testa fino a rendergli insopportabile il dolore. Tagli, accelerazioni, aggressività: il campione in carica toglie subito campo e tempo a Chung, impedendogli di prendere ritmo, di allungare gli scambi, di farsi difensore impenetrabile di gomma come già accaduto con Zverev e Djokovic. Senza più certezze, l’occhialuto ragazzotto coreano si scioglie fino allo sfinimento, aprendo a Federer la via per la settima finale in Australia, record sottratto a Nole, che però le sue sei le ha vinte tutte e domani può essere per l’appunto raggiunto lassù dal Divino in una triade di plurivincitori che raccoglie anche Emerson. Soprattutto, Federer si giocherà un titolo Major per la 30a volta in carriera (il secondo, Nadal, è a 23), inseguendo il successo numero 20, miraggio così lontano appena dodici mesi fa, quando lo svizzero si ripresentò a Melbourne molto più dubbioso che speranzoso dopo il crac al ginocchio: «Un’altra finale, sono felice, anche se non avrei voluto che la partita finisse così. Magari sembra vicino, ma il 20° Slam è ancora lontano. Per quattro o cinque anni ho cercato di rivincerne uno e un anno fa, di questi tempi avrei pensato al massimo di riuscire a conquistarne un altro. Mi accontentavo di dimostrare a mia moglie e al mio staff di essere capace di vincere il 18°, poi le cose sono cambiate».
MALDIVE Più grande di tre generazioni: Federer ha chiuso l’epopea di Sampras e Agassi, ha marchiato quella dei Fab Four e adesso, mentre i formidabili rivali della sua epoca tremano sotto gli acciacchi, lui zittisce pure i nuovi arrivati: «Sicuramente sono più saggio rispetto a dieci anni fa, e sono pure padre. C’è stato un momento, proprio qui, nel 2008 (perse in semifinale da Djokovic, ndr), in cui mi resi conto che la mia carriera stava cambiando, forse in peggio, un pensiero durato sei mesi. Ma sono stato bravo ad uscirne, ho attraversato momenti belli e brutti, ora sono felice di essere ancora qui, ancora in salute e con la possibilità di darmi altre chance». La prossima, così vicina, nella mattina italiana di domani, quando attraverserà i corridoi fino al Centrale da netto favorito contro Cilic, nella replica della finale di Wimbledon, anche se Roger prova l’esorcismo: «Se Marin è arrivato in fondo a un torneo duro come questo significa che sta molto bene e ha grande fiducia in se stesso. A New York, nel 2014, mi ha travolto e poi a volte affronto giocatori che sembrano soltanto felici di essere lì di fronte. Non lui». Tra l’altro, a fine novembre, si sono ritrovati per caso nello stesso resort alle Maldive e dopo due giorni di tranquillità il croato gli ha mandato un messaggio per allenarsi insieme: «E’ stato divertente — ricorda Fed — 45 minuti in relax e senza allenatori, poi abbiamo mangiato una fetta di torta insieme». Ma quello non era uno Slam. Non era la casa del Divino.