Dal caso Russia alle falle di Rio: quanti fantasmi verso i Giochi
1Il Cio contro il Tas rifiuta di riammettere i 15 russi E si scopre che nel 2016 l’antidoping fu una farsa
Far peggio di quattro anni fa a Sochi, l’Olimpiade zero dell’antidoping colabrodo assediato dai servizi segreti russi, sarà impossibile. Eppure in questo campo la vigilia dei Giochi è ancora parecchio agitata. Il contropiede del Tas, il Tribunale Arbitrale dello Sport, che «per assenza di prove sufficienti» ha riabilitato 28 atleti russi radiati, scatenando l’ira della Wada, ha provocato un corto circuito istituzionale. Il Cio, che si era detto «irritato» per il verdetto, parole del suo numero uno Thomas Bach, ieri si è rifiutato di tradurre riabilitazione in riammissione olimpica per i 15 atleti qualificati ai Giochi fra quelli assolti. Un gesto che potrebbe portare a nuovi ricorsi a inizio gare ormai vicinissimo. E in cui i 169 russi giudicati senza macchie, gareggeranno con la patente OAR (Atleti Olimpici dalla Russia) e senza la loro bandiera. Il tutto era stato preceduto dalla storiaccia delle provette manipolabili che minacciava di moltiplicare le ombre sui controlli. La grande preoccupazione di Cio e Wada con la necessità di ritornare ai materiali del passato vista la denuncia del laboratorio di Colonia sulla possibilità di aprire i campioni senza lasciare traccia, è stata derubricata a turnover tecnico da Travis Tygart, direttore esecutivo dell’Usada (l’agenzia antidoping Usa), il grande accusatore di Lance Armstrong. Ma l’episodio segnala comunque un pericoloso punto di fragilità nel sistema.
QUEL DOCUMENTO WADA Però c’è pure un altro spettro che rischia G gli atleti russi che, giudicati senza macchie, potranno gareggiare ai Giochi invernali di PyeongChang. Questi atleti parteciperanno con la patente OAR (Atleti Olimpici dalla Russia) e senza la loro bandiera d’appartenenza di andare in giro per l’Olimpiade. E si chiama Rio 2016. Esiste un documento degli osservatori indipendenti della Wada, pubblicato diversi mesi fa, che traccia un quadro inquietante dell’ultima esperienza olimpica dell’antidoping mondiale: incaricati del prelievo mal pagati e poco formati (e lasciati qualche volta senza buoni pasto!), riduzione dei controlli previsti non soltanto per alcune discipline, ma pure per «alcuni sport ad alto rischio». Se diverse circostanze sono attribuibili alle forbici con cui il budget brasiliano fu drasticamente tagliato in extremis, e stabilito che i problemi non hanno riguardato il laboratorio ma più che altro le falle della catena dei prelievi, è l’intera struttura ad aver fallito il raggiungimento di alcuni obiettivi importanti, come sottolineato dalle parole molto dure con cui la Wada ha elencato le diverse raccomandazioni Cio disattese nel periodo brasiliano.
CALCIO SENZA SORPRESA Due anni fa, nel mese olimpico, tanto per citare uno dei passaggi più sorprendenti del documento, non ci furono controlli fuori competizione per i calciatori (esaminati solo a fine partita). Ma anche «test limitati per la scoperta dell’epo (che hanno una procedura diversa da quelli canonici su altre sostanze) nelle discipline di resistenza come nuoto, ciclismo e atletica». Non solo: viene stigmatizzata la piccola quantità di test sul sangue «in sport ad alto rischio come il sollevamento pesi». E’ vero che la filosofia dell’antidoping è da qualche tempo «più qualità che quantità», meno controlli ma più a sorpresa. Ma i dati di Rio hanno tradito anche questa impostazione.
CONTROLLI SALTATI Complessivamente , infatti, furono effettuati 4037 controlli sulle urine
e 845 sul sangue (compresi quelli per il passaporto biologico). I casi di positività furono 28. La parte dei controlli a fine gara (67,45%) sovrastò però quella degli esami a sorpresa, sorpresa relativa perché gli atleti erano naturalmente a conoscenza della moltiplicazione del «rischio» del controllo durante il mese olimpico. Non a caso, la proporzione sarà ribaltata a PyeongChang. Qui però torna a ballare il fantasma di Rio. L’Olimpiade preceduta dalla «squalifica di massa» dell’atletica per i russi e dalle «rivisitazioni» dei campioni di Pechino e di Londra con tanto di esclusioni a scoppio ritardato. Da una parte c’era questo antidoping puro e crudo che dava l’impressione di fare la voce grossa. Dall’altra gli ispettori prelevatori si perdevano nel Villaggio Olimpico mandando a vuoto in alcuni giorni addirittura la metà dei controlli antidoping fuori competizione. Lasciando perdere i casi quasi folcloristici in cui mancavano finanche i formulari per le operazioni preliminari, il problema più grande fu quello della compilazione dei celeberrimi whereabouts, il sistema informatico che fornisce le informazioni per la reperibilità degli atleti in una finestra oraria di 60 minuti durante la giornata. Nelle apposite caselle, gli atleti scrivevano semplicemente «Villaggio Olimpico» senza specificare il blocco di appartamenti o il numero di camera. Una situazione che portò il Cio a scrivere a tutti i comitati olimpici: in qualche caso con poco successo, ma senza nessuna sanzione conseguente. E il report della Wada nota che si sono verificate situazioni paradossali con gli ispettori antidoping che chiedevano in giro dove fosse quell’atleta o quell’altro vanificando l’effetto sorpresa. Per non parlare di una cifra molto vicina ai 100 casi di campioni analizzati dal laboratorio brasiliano e non abbinati ad atleti.
DISCONTINUITA’ Per giovedì la Wada ha organizzato una conferenza stampa con il suo stato maggiore dal presidente Craig Reedie al direttore generale Olivier Niggli. L’Agenzia mondiale antidoping metterà al lavoro ancora una volta una commissione di osservatori indipendenti. Rispetto a 4 anni fa, avremo anche un’italiana: Ilaria Baudo si è occupata a lungo di antidoping nel rugby mondiale, in Corea lavorerà sul crocevia entrato in crisi a Rio, quello delle modalità di prelievo; c’è anche un italo-cubano che lavora nella sede centrale della Wada a Montreal, Osquel Barroso: a lui spetterà invece nella prima settimane di gare la sovrintendenza del laboratorio di Seul. La task force è guidata da Ben Mc Devitt, ex numero uno dell’agenzia antidoping australiana. L’augurio è che possano scrivere cosa molto diverse rispetto a quelle pubblicate dai loro colleghi dopo Rio.
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RIO 2016
Due anni fa nessun controllo fuori competizione per i calciatori
I test sull’Epo solo per sport di durata Gli ispettori persi nel Villaggio
4037
G i controlli effettuati alle Olimpiadi di Rio de Janeiro sulle urine e 845 sul sangue (compresi quelli per il passaporto biologico). I casi di positività riscontrati furono 28. Ma il 67,45% dei controlli furono eseguiti a fine gara