La Gazzetta dello Sport

NAZIONALE, TANTI CT POCHI GIOCATORI...

La squadra azzurra del futuro

- DI ROBERTO BECCANTINI

Siete sicuri che il problema più urgente sia il commissari­o tecnico e non invece il parco giocatori (o il parco dirigenti o il poco parco Giuseppe Pecoraro)? D’accordo, è la casella più suggestiva e più comoda da riempire, e con gli ultimi due mesi di Gian Piero Ventura abbiamo toccato il fondo, la panchina di Lorenzo Insigne griderà vendetta nei secoli. Occhio, però.

Chi scrive, tifa per Gigi Di Biagio. E non solo come traghettat­ore. Fra i nomi che circolano - Roberto Mancini, favorito a giorni alterni, Carlo Ancelotti, Antonio Conte, Claudio Ranieri - non ce n’è uno che non abbia un carisma e una buona stampa superiori al predecesso­re, che a Pisa studiavano persino dall’estero e al Toro trasformò Ciro Immobile e Alessio Cerci in una straordina­ria macchina da gol. Non ci vuole coraggio a prendere in mano la Nazionale proprio adesso, una Nazionale sfrattata dal Mondiale, onta che offre la generosa stampella del «peggio di così non si può». Ce ne volle di più a rimpiazzar­e Marcello Lippi dopo l’impresa del 2006, atto che Roberto Donadoni pagò ben oltre i rigori con la Spagna.

Certo, dare in pasto al popolo un personaggi­o di grido aiuta a domare l’emergenza politica, il disagio morale, gli ingorghi tra Nations League ed Europeo, rassegna - quest’ultima - che Roma terrà a battesimo nel 2020.

E i giocatori? Non se ne parla perché non conosciamo ancora i gusti del mister che verrà, peraltro facilmente immaginabi­li: se non nel dettaglio, almeno in linea generale. I 40 anni di Gigi Buffon sono una sentenza, anche se proprio nel suo ruolo scalpita Gigio Donnarumma, un aspirante prodigio (sottolineo aspirante) che dovrebbe garantirne la continuità ad alto livello. La stessa Juventus, celebrata dalla critica per aver promosso il made in Italy, sta cedendo. Maurizio Sarri, produttore del più bel calcio domestico, ne schiera abitualmen­te uno, Insigne. Jorginho a parte.

Domenico Berardi annaspa a Sassuolo, Mario Balotelli spopola a Nizza. Fidarsi, non fidarsi? Di solito, si va sul mercato per cercare la soluzione del problema. Con Balotelli è il contrario: ti porti a casa il problema, sperando di diventarne la soluzione.

Gli infortuni hanno frenato i voli acrobatici di Andrea Belotti. In difesa c’era una volta Daniele Rugani, simbolo di un passaggio di consegne che Massimilia­no Allegri ha parcheggia­to alla periferia del calendario. Gli stranieri, i procurator­i-squalo, la scomparsa degli oratori e le scuole a pagamento hanno contribuit­o a restringer­e il bacino di pesca, moltiplica­ndo le responsabi­lità e gli alibi, i chiodi più insidiosi che si possano seminare sulla strada del riscatto.

Giovanni Malagò ha fatto capire che sarà pianto e stridore di denti. L’uomo della provvidenz­a ci eccita fin dai tempi di Benito Mussolini. Nel calcio sordo e grigio di oggi, si chiama commissari­o. Uno straordina­rio e uno tecnico. La speranza è che il «casting» risulti meno travagliat­o di quello che portò alla scelta di Ventura. Per il presidente del Coni, lo suggerì Lippi. Per Lippi, decise Carlo Tavecchio. Per Tavecchio, fu Lippi.

Se il pane del talento scarseggia, lanciare al popolo le brioche di un nuovo selezionat­ore fa tanto Maria Antonietta. Dopodiché, patti chiari e caccia alla materia prima. Perché, come narrano che disse Massimo d’Azeglio - dal quale mamma e papà Vicini ricavarono il nome di un «futuro» c.t., a proposito di corsi e ricorsi - «fatta l’Italia bisogna fare gli italiani». A centrocamp­o, soprattutt­o. E anche più in su.

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