Cose da Turchi «Fra tre anni sarò mondiale»
●La nostra grande speranza è sotto contratto con Holyfield: «Perché in Italia non si cresce»
La carriera è ancora giovane, ma a Firenze sono già pronti a fargli un monumento. Lo dimostra l’affetto con cui la sua gente lo segue a ogni uscita: venerdì scorso, per il match contro Balmaceda al Mandela Forum, c’erano tremila spettatori. Per un pugile italiano, sono numeri eccellenti. Eppure Fabio Turchi, figlio d’arte (il padre Leonardo è stato tricolore e sfidante europeo nei mediomassimi), sente stretti i confini nostrani. Forte, ambizioso e con le idee chiare, ha bussato alle porte di Holyfield e l’ex iridato, oggi promoter in ascesa, gliele ha aperte.
Fabio, come sono nati i contatti con Evander?
«E’ stato il mio manager Loreni a propormi, e dopo il primo incontro la macchina è partita, nonostante fossi emozionatissimo: lui è stato uno dei miei idoli. In America il pugile bianco, magari di origine italiana a richiamare grandi del passato come Marciano, è ancora un simbolo. E poi sono piaciuto non solo per le mie qualità pugilistiche, ma perché dietro di me si muove un team serio che comprende gli assistenti legali e l’ufficio stampa».
Ha in mente di trasferirsi in America?
«Per adesso continuo ad allenarmi a Firenze, poi quando devo combattere (il prossimo match oltreoceano è programmato per aprile, ndr) mi presento una settimana prima per la rifinitura. Ma cambiare vita non mi spaventerebbe, anche perché in Italia non ci sono gli strumenti e le possibilità per crescere. Infatti ho preso contatti anche con l’Inghilterra, mi piacerebbe un lungo stage di preparazione da quelle parti: solo attraverso il confronto con i migliori si fanno passi avanti».
Lei è stato un eccellente dilettante, poi a 22 anni ha optato per il professionismo: scelta difficile, da noi.
«Volevo tornare padrone dei miei sogni, anche se in nazionale ho avuto grandi maestri. Ma alla fine il dilettantismo mi aveva svuotato, ero in crisi pure personale, ho pensato di smettere e mi serviva una svolta decisa».
I massimi leggeri sono considerati una categoria spuria, però stanno fiorendo grandi campioni.
«E’ vero, basti guardare al successo del torneo che stanno organizzando per unificare le corone mondiali. Io devo crescere gradualmente, ma ho la convinzione di poter arrivare a quel livello con il lavoro e la serietà».
Soprattutto, la sua categoria è ormai l’anticamera per salire nei massimi. E’ un suo obiettivo?
«Devo essere sincero, se resterò in Italia non potrò permettermelo. Perché servono sparring di livello e uno staff medico e tecnico all’altezza, che mi consenta di cambiare la preparazione senza perdere le mie doti. E da noi, allo stato attuale, è impossibile. Per questo guardo all’America come a una grande opportunità in vista di un cambio di categoria. Ma intanto voglio al più presto l’Europeo dei massimi leggeri».
Com’è avere un padre che è anche allenatore?
«Adesso che non viviamo più insieme, le tensioni si sono stemperate e siamo entrambi più sereni, Però papà è fondamentale nei minuti prima del match e quando combatto: la sua è l’unica voce che voglio ascoltare».
Turchi si è dato un traguardo?
«Fra tre anni combatterò per il titolo mondiale»